Nei recenti giorni passati sono successe un paio di cose, sconnesse ma in qualche modo correlate, che mi hanno stimolato qualche pensiero che provo a sistematizzare. Mettendo a posto la cantina di casa ho ritrovato un po’ di vecchie foto degli anni di servizio scout (tra cui quella della Route Nazionale del 1997 di cui ho parlato anche qui) e proprio in quei giorni si è tenuta a Verona la Route Nazionale 2024 della Co.Ca. AGESCI, la prima da quella del 1997 a cui avevo partecipato. Ecco: il passato che fa capolino, il presente che si impone, e in mezzo un uomo di mezza età che pensa al futuro.
Sono stato attivo come capo scout nell’AGESCI fino al 2006. Gli ultimi servizi che ho fatto sono stati all’interno della Pattuglia Stampa nazionale, e un laboratorio al Roverway del 2006. Sono dunque quasi vent’anni che non frequento più “dall’interno” cosa si fa e si dice in AGESCI: vivo all’estero da tanto tempo, Giulia non frequenta gli scout per tante ragioni, non ultima il fatto che in questa zona latitano un po’, e le uniche notizie sullo scoutismo italiano mi arrivano dunque da familiari e amici che hanno figlie e figli che ancora frequentano gruppo scout in Italia. La curiosità per l’impresa educativa dello scoutismo mi è però rimasta (qualcuno direbbe “una volta scout, sempre scout”, e per certi versi non avrebbe torto), e per curiosità sono dunque andato a guardare un po’ che cosa facevano e dicevano i capi AGESCI nel 2024, facilitato anche da social e canali vari che hanno rimbalzato di tutto, dall’omelia del segretario della CEI alla messa di chiusura dell’evento a Gianni Morandi che apriva la serata iniziale cantando col fazzolettone.
Mentre guardavo e ascoltavo mi sonno reso conto di provare due sentimenti contrastanti. Da una parte una forte empatia, e, forse, persino un desiderio di essere li, ancora impegnato e immerso in quel mondo. Dall’altra, con una certa regolarità, una sensazione che mia figlia definirebbe cringe: c’era sempre un qualche gesto, una qualche dichiarazione troppo entusiasta, troppo manichea, troppo ottimista, che mi facevano reagire con qualcosa de tipo “bello eh, ma anche meno, e non fa più per me”. Fino a qui niente di straordinario: sono invecchiato e passato attraverso esperienza di vita che mi hanno segnato, un certo disincanto rispetto alle granitiche certezze e impegni dei vent’anni ci sta tutto. Il pensiero che invece mi rode è questo: va bene il disincanto dell’età, e vanno bene i dubbi che hanno preso il posto dell’assolutismo, ma quanto di questo disincanto e dubbio sistematico è sano, e quanto invece non è un specie di cinismo di bandiera, quasi non fossi programmaticamente più capace di entusiasmarmi, senza andare sistematicamente a cercare la piccola falla, l’imperfezione che rovinerebbe il candore? Trovo forse conforto nel saper vedere immediatamente - con una analiticità che potrei definire chirurgica - i limiti di tante iniziative globalmente lodevoli, e questo non limita la mia capacità di apprezzarne i lati positivi? Insomma, non potendo più essere un ventenne duro e puro, devo per forza essere un cinquantenne che cerca noiosamente il pelo nell’uovo stando al bordo del campo? Invece che un artista, ho scelto di diventare un critico d’arte? Più ci penso e più realizzo che l’idea non non mi piace affatto: mi sa che preferirei essere un poco più naïve e ingenuo, che avere sempre ragione. O forse proprio scegliere la strada di avere sempre ragione, correndo il rischio di masticare amaro, è una forma di difesa, di protezione?
Ne discutevo l’altro giorno con i miei due cari amici, con i quali ho condiviso mille anni di scoutismo e vita fin da quando andavamo alle scuole medie, e che ancora oggi restano i miei riferimenti più intimi e cari. Con la lucidità di chi ti conosce da quarant'anni P. mi ha ricordato che una certa predisposizione a questo atteggiamento ipercritico l’ho sempre avuta, già a vent’anni. P. non ha torto: che io sia sempre stato un po’ scassa-marroni sul modo di fare le cose è certamente vero, ma mi chiedo se la differenza non sia che a vent’anni rompevo sistematicamente le scatole perché avevo una meta da raggiungere ed ero convinto che ci fosse un modo per arrivarci, mentre oggi rompo le scatole (o più semplicemente mugugno) perché in fondo ho paura non ci sia nessun meta da raggiungere, e nessun modo per arrivarci? M. si chiedeva invece se questo guardare (persino morbosamente) al passato con occhi che oscillano tra la nostalgia e il disincanto (lo scoutismo è un esempio, ma se ne potrebbero fare altri, dalla musica al lavoro) non sia il segno tangibile della nostra difficoltà di guardare avanti, integrando quello che siamo stati (nel bene e nel male) per poi sforzarsi immaginare quello che potremmo essere domani.
Forse è proprio questo il punto critico e più delicato. È (ancora, di nuovo) possibile immaginare creativamente un futuro a cinquant’anni, una direzione da seguire con entusiasmo e dedizione, come si faceva con i progetti e le idee dei vent’anni? E farlo senza portarsi dietro fardelli troppo pesanti di un passato non da disconoscere ma neanche da idealizzare, che sia invece una risorsa per alimentare percorsi nuovi? Mi rendo conto che queste riflessioni, nate dallo specifico dell’esperienza scout, valgano anche in altri ambiti. Quello lavorativo, per esempio: ho discusso la mia tesi di dottorato (già su ATLAS!) nel 2003, sono più di vent’anni che lavoro a questo esperimento e, nonostante mi abbia portato moltissime soddisfazioni, sento anche i limiti che un’attività cosi prolungata può portare, intellettualmente e umanamente. Sono alla ricerca di orizzonti nuovi anche in ambito professionale, ma il rischio di restare impastoiato in un oggi che si prolonga senza fine è certamente presente. E allora mi prometto di farne l’oggetto dei mio lavoro personale nei prossimi mesi, perché, come scrivevo agli amici alla fine del nostro scambio:
Però per fortuna la vita mica finisce a 50 anni, no? Diciamo che la mia disanima sul disincanto nasconde probabilmente un desiderio di progetti e direzioni nuovi…
monica(bionda) dice
Sono domande che mi pongo anche io di questi tempi, per una questione anagrafica, ma anche per problemi di salute che mi hanno forzatamente stoppata. Sono d'accordo con l'amico M. quando dice che questo continuo vedere subito il difetto, l'ostacolo, la criticità o la cosa che stona è " il segno tangibile della nostra difficoltà di guardare avanti, integrando quello che siamo stati (nel bene e nel male) per poi sforzarsi immaginare quello che potremmo essere domani." Mi sto impegnando a ridisegnare il futuro, per me e per mio figlio, ma non è affatto facile... (se questa discussione è anche di là, continuerò a commentare di là)
Federico dice
Anche io faccio parte del club dei cinquantenni e condivido con te il rafforzamento di questo pensiero critico nella mia testa quando si tratta di cambiamenti in generale. La tendenza e' quella di dare troppo peso all'incertezza, ai dettagli non precisamente allineati al nostro pensiero che pero' risultano essere niente altro che tentativi di rimanere nella nostra zona di confort.
Poi pero' mi appare di fronte questo disegno: https://fred.dev/content/uploads/2013/11/outofcomfortzone.jpg a ricordami che i cambiamenti sono una parte importante del succo della vita e mi aiuta a ridimensionare questa terribile vocina critica.
yopenzo dice
Santa Wiki qui si supera come aggregatore di spunti di riflessione:
https://en.m.wikipedia.org/wiki/Meaning_of_life
Se no c'è quello dei Monty Phyton, meno impegnativo ma non per questo meno valido.?
Balosso dice
Mi piace.
may_may dice
Io ho qualche annetto in più, ma non conta più di tanto quanti anni hai. E' comunque una esperienza, o la chiamerei meglio una prospettiva. Fin da ragazzino ricordo di essermi posto il problema. Da una parte mi facevo un'idea assoluta su ogni cosa o progetto. Poi quando la cercavo vedevo i difetti. Questi difetti poi crescendo (con l'età) hanno fatto diventare le idee originarie altra cosa. Quel disincanto di cui parli io l'ho vissuto piuttosto presto. Non so se è una questione di età o di esperienze vissute. Dipende dalla prospettiva da cui si parte. Dipende forse anche da quanto uno sia disposto ad accettare compromessi, e di quanto si riesca a viverli comunque come se fossero quelle originali. Forse la migliore soluzione è quella di non vivere la vita e le sue esperienze mettendole a confronto con lo stampo che gli abbiamo creato all'inizio. Facendo così probabilmente ogni volta che si vive un'esperienza è come se fosse nuova, attraente, appunto da vivere. Suppongo ci siano persone così... ma che siano così dall'inizio. Non so se è possibile diventarlo. Si può tentare però di buttare via lo stampo per gioco, facendo finta che non sia mai esistito. Prendere meno sul serio quello che si fa e divertirsi. Può essere mai l'età ad impedircelo?. Si può fare no?
emanuela dice
Ecclesiaste 3,1-15
1 Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
2 C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
3 Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
4 Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
5 Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
6 Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
7 Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
8 Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
9 Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?
10 Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini, perché si occupino in essa. 11 Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine. 12 Ho concluso che non c'è nulla di meglio per essi, che godere e agire bene nella loro vita; 13 ma che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro è un dono di Dio. 14 Riconosco che qualunque cosa Dio fa è immutabile; non c'è nulla da aggiungere, nulla da togliere. Dio agisce così perché si abbia timore di lui. 15 Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, già è; Dio ricerca ciò che è già passato.
carlo dice
sabato ho visto questo spettacolo a Ginevra (temo sia finito purtroppo) che mi ha fatto pensare a quello che hai scritto qui 🙂
https://duyvendak.com/works/single/lage-de-nos-idees
Marco dice
Bello! In effetti era in programmazione a Ginevra solo fino a domenica, lo rifanno a Losanna a fine Febbraio prossimo, segno e vediamo... grazie!
Matteo dice
Ciao Marco, un dettaglio (ma tu sai quanto contano):
hai messo nella play list anche la canzone che ha scritto un mio amico "strade e pensieri per domani".
Delmastro non ti conosco ma qualcosa di te mi passa sempre accanto e mi attraversa la strada!
Marco dice
E dunque conosci Mattia Civico di persona? Certo che la vita propone dei collegamenti ben inaspettati 😉