Non è impossibile che vi siate persi la notizia, perché in effetti la cosa è passata piuttosto sotto traccia sui media tradizionali, ma a fine luglio LHC ha avuto un incidente. Il 17 luglio scorso, durante uno dei violenti temporali che questa estate hanno sconquassato un po’ tutta l’Europa, un ramo è caduto su una linea elettrica in Svizzera, provocando un’interruzione di una delle alimentazione di LHC. Questo lo abbiamo scoperto solo dopo, quello che si è immediatamente verificato è stato un quench dei magneti dovuto alla perdita di alimentazione del sistema di raffreddamento.
Che i magneti di LHC possano quenchare (ovvero, uscire in maniera subitanea dal loro regime di superconduttività a causa di un aumento di temperatura) è un fatto della vita dell’acceleratore. Anzi, prima della loro installazione vengono deliberatamente sottoposti a svariati cicli di quench per “allenarli” a meglio sopportare queste variazioni, e potenzialmente a portare intensità di corrente maggiori quando sono in fase superconduttiva. Dunque, in linea di principio, niente di grave.
Quello che però è successo in questo caso è che, a causa dello stress meccanico generato del quench, si è creata una piccola falla nel sistema di raffreddamento criogenico di uno dei magneti. Le conseguenze sono state ovviamente l'arresto del funzionamento dell’acceleratore, e, peggio, la necessità di riportare a temperatura ambiente tutto il settore dell'acceleratore dove la falla si era prodotta e c'era una perdita nel sistema di raffrenamento, per poter meglio isolare il guasto e poi ripararlo: una pausa potenzialmente lungo.
Gli esperti dell’acceleratore sono stati estremamente efficienti. Tra il riscaldamento del settore, la ricerca della falla, la sua riparazione e il successivo raffreddamento dei magneti è passato poco più di un mese: proprio in questi giorni LHC sta preparandosi a riprendere le sue attività. Tutto bene, dunque? Non esattamente.
Nonostante la riparazione rapida ed efficiente, è stata presa la decisione di non ricominciare con le collisioni protone-protone interrotte a luglio. I prossimi giorni saranno dedicati a vari test, e si passerà poi direttamente al run di collisioni di ioni pesanti, per poi anticipare la pausa invernale. Se il programma della seconda metà del 2023 aveva questo aspetto a inizio luglio:
oggi invece risulta così (e potrebbe evolvere ancora):
La scelta è ben giustificata dallo stato delle cose, e probabilmente comunque la più efficiente a medio termine, considerando quello che si potrà fare per recuperare nel 2024 e 2025. Resta però il fatto che la quantità raccolta nel 2023 è decisamente inferiore alle aspettative, e ci lascia con la difficile domanda: cosa possiamo fare di interessante con i dati raccolti nel 2022 e 2023, che non aumentano in maniera veramente significativa la statistica raccolta tra il 2015 e il 2018? In una visione di lungo termine può sembrare una domanda peregrina, ma non lo è affatto per chi ha iniziato da poco il dottorato o un contratto di post-doc di un paio d’anni. Nel prossimo articolo cercherò di spiegare con qualche dettaglio in più dove stanno le complicazioni e le limitazione. Nel frattempo, potete andare a eggere una versione illustrata del processo di riparazione della falla di LHC.
Juhan dice
Bentornato sul blog!
Lo sai che quelli come me se non ci racconti restano nella gnuransa, vero?
Oca sapiens dice
Quello che ha detto Juhan.
Marco dice
Ben ritrovati a entrambi! Qui è sempre aperto, solo che ogni tanto faccio anche altro 😉
Balosso dice
...a che velocità sono arrivati?
Dicono che hanno superato la velocità della luce nel vuoto.
Marco dice
A cosa ti riferisci? Ai tecnici che hanno riparato? Allora si, sono stati veramente veloci 😉
Se invece ti riferisci ai protoni di LHC, quelli non possono viaggiare più veloci della luce! Trovi qualche calcolo qui:
https://www.borborigmi.org/2010/03/17/protoni-quasi-veloci-come-la-luce/
Renato dice
Buongiorno Marco, a quando un nuovo libro che qui si scalpita?
Un abbraccio
Carlo dice
Che bello tornare a leggerti!