Un paio di settimane fa abbiamo invitato un collega teorico a tenere un seminario durante uno dei meeting del gruppo di lavoro ATLAS di cui da settembre sono corresponsabile. Il seminario era dedicato a un argomento troppo tecnico per discuterne su queste pagine, ma non ho resistito alla tentazione di mostrarvi una pagina della presentazione, per un dettaglio che fa sorridere, ed è allo stesso tempo significativo. Eccola:
Il dettaglio interessante è in alto a destra, su una riga a fianco del titolo in cui viene ricordata la notazione ben particolare usata per il calcolo, una parte della quale non è da prendere troppo sul serio, mentre un'altra ci dice delle cose importanti:
Iniziamo dalla componente semiseria: ovviamente dire che \(\pi\) (che è quel numero irrazionale che vale circa 3.1416 che ha a che fare con il rapporto tra il diametro di un cerchio e la sua circonferenza) sia uguale a \(i\) (l'unità immaginaria, definita come la radice quadrata di -1), e allo stesso tempo sia anche uguale al numero 2, a sua volta identico al numero 1, non ha veramente molto senso! Quello che l'oratore sta dicendoci con quell'ironica notazione è: "questi sono calcoli approssimati, non sto valutando con precisione tutti i fattori di normalizzazione, quello che mi intessa è evidenziare i vari termini, da dove vengano e a quale processo corrispondano". Il che, per un fisico sperimentale come il sottoscritto, a cui il seminario doveva far capire dei concetti più che fornire degli strumenti di calcolo accurati, va benissimo.
La parte importante della notazione è invece quella che afferma che \(\hbar = c = 1\). \(\hbar\) è la costante (ridotta) di Planck, una quantità che esprime un'energia per unità di tempo (quella che i fisici chiamano "azione"), e in particolare ne misura la più piccola unità che possa essere scambiata in natura (ne avevo parlato su queste pagine quando chiacchieravo di meccanica quantistica con Oliver): usando delle unità di misura classiche, \(\hbar\) vale circa \(10^{-34}\) Joule per secondo. \(c\) è invece la velocità della luce, che sappiamo essere circa 300000 km/s nel vuoto. Perché mai la costante di Planck e la velocità della luce dovrebbero essere uguagliate a 1, e private delle loro unità di misura?
La realtà è che nelle unità di misura che utilizziamo nella nostra vita quotidiana (il metro, il secondo, il grammo) non c'è veramente nulla di fondamentale. Il metro è legato alla dimensione del nostro pianeta, il secondo al suo tempo di rivoluzione intorno al Sole, e così via: niente che abbia una particolare valenza cosmica. Sono certo che alieni che abitino un pianeta altrove nel cosmo avranno inventato unità di misura ben diverse (e, se ci pensate bene, noi stessi umani non ci siamo ancora del tutto messi d'accordo: una buona parte del mondo continua a usare piedi per misurare le lunghezze, galloni per le capacità e libbre per il peso!). La velocità della luce, o la minima azione concessa nel microscopico mondo quantistica, invece, sono le stesse per noi sulla Terra e per ogni alieno che abiti l'universo. Come dicono in maniera elegante Peskin e Schroeder all'inizio del loro famosissimo testo di teoria quantistica dei campi:
possiamo considerarle come unità praticamente "divine", nel senso di valide dappertutto, e non dipendenti dalla forma e caratteristiche peculiari del pianeta sul quale si sono evoluti gli esseri che le usano. Se l'insuperabile velocità della luce vale 1, tutte le velocità possono essere espresse come frazioni della velocità della luce. Se esiste una quantità minima e indivisibile di energia che può essere scambiata nelle interazione che reggono il funzionamento del nostro mondo, ha senso esprimere tutte le quantità scambiate (o i momenti angolari, o gli spin) come multipli di questa quantità minima. Ponendo \(\hbar = c = 1\) lunghezza e tempo hanno la stessa unità di misura (un aspetto piuttosto logico, se uno considera lo spazio-tempo a 4 dimensioni di Einstein e compagni), così come massa ed energia (anche qui, in perfetto accordo con la lezione di Einstein).
Zee, autore di un altro libro di QFT molto bello, rincara la dose:
Ha qualcosa da dire anche rispetto alla matematica esercitata dei fisici, cosa che ci riporta alla prima parte della notazione, quella "ironica", con una paio di considerazione sull'uso più o meno rigoroso della matematica, che vi lascio tradurre da soli mentre rido sotto i baffi e mi allontano...
Juhan dice
Contentissimo che il blog sia ancora vivo!
Se posso due osservazioni personali:
1) ? (che è quel numero irrazionale che vale circa 3.1416 e *non* 3.1415, lo richiedono le regole dell'approssimazione;
2) per valutare l'ordine di grandezza, a mente, vanno benissimo 3 e/o 1.
Marco dice
Ecco un altro pignoletto! 🙂
Vabbé, correggo, perché formalmente hai ragione e poi mia figlia mi sgrida... Su (2) hai ovviamente perfettamente ragione, che è poi il senso della prima parte della notazione (sul fattore i potremmo discutere a lungo perché la questione va oltre il puro ordine di grandezza, ovviamente...)
P.S. Certo che il blog è vivo, si muove solo al ritmo di un bradipo particolarmente sonnolento 🙂
cloc3 dice
🙂
se due è uguale a uno, allora uno più uno è uguale a uno più zero, cioè, uno è uguale a zero.
addio linguaggio binario.
è un labirinto di Borges attraversato in un unico passo.
come quando rispondo a mia moglie snocciolando a caso dei si o dei no.
la ridefinizione delle unità di misura a partire dalle costanti fisiche della natura (https://www.inrim.it/ricerca-sviluppo/le-unita-di-misura/la-ridefinizione-del-sistema-internazionale-delle-unita-di) è un'operazione importante, che sottende un profondo contenuto di libertà.
significa che ciascuno può ritrovare i propri riferimenti all'interno degli stessi fenomeni naturali che sta osservando, senza appoggiarsi a nessuna autorità esterna. per costruire il mio metro devo solo guardarmi un po' intorno, non ho bisogno di fare una capatina al Louvre di Parigi,
nelle abitudini quotidiane, purtroppo, è un comportamento che adottiamo sempre di meno. oramai, quasi nessuno cerca un sito digitando l'indirizzo nella barra degli indirizzi, ma lo inseriamo ogni volta nel campo del motore di ricerca.
Matteo dice
Però così tutto si mischia e diventa un minestrone. Che significa che la lunghezza è uguale al tempo ed è il reciproco dell'energia e della massa? Boh!
Che tutti i cavalli sono sferici?
Marco dice
Nessuno ha detto che "la lunghezza è uguale al tempo", si parlava di *unità di misura*. Quello che è importante capire è che:
1) il tempo e le le tre dimensioni spaziali sono componenti che definiscono un solo spazio quadridimensionale (con una metrica particolare, ma questo è un dettagli tecnico), e dunque ha senso che vengano misurati con la stessa unità di misura. Tutta le fisica che ha in qualche modo a che fare con la relatività descrive l'evoluzione di un sistema (per esempio il movimento di una particella) come una traiettoria nello spazio quadridimensionale.
2) massa e energia hanno una corrispondenza chiara anche qui scoperta da Einstein, e possono trasformarsi l'una nell'altra e viceversa. Anche qui dunque ha sense misurare entrambe nella stessa unità di misura.
3) energia e tempo sono connessi, in particolare in ambito quantistico dalla relazione di indeterminazione di Heisemberg, da cui deriva il fatto che le unità di misura dell'una siano l'inverso di quelle dell'altro, proprio perché il prodotto delle loro incertezze intrinseche è (maggiore o uguale a) una costante che ha unità arbitrarie.
Si capisce meglio?
Matteo dice
Devo rispondere sì?
E invece dico di no! Che tutte queste belle cose siano utili a semplificar formule sta bene, ma che siano utili a comprendere di cosa si parla direi proprio di no.
Dire che sono uguali le unità di misura certamente può non significare che siano uguali le grandezze, si pensi al momento della forza e all'energia, e però non è già questo un bel guaio? Un guaio meno evidente, ma sempre guaio è, è pure quello dell'energia cinetica e potenziale che si devono misurare con la stessa unità di misura, ma lasciamo perdere perché si può fare un altro esempio facile ma più visibilmente disastroso: la velocità angolare e la frequenza si misurano entrambe in Hz. Qualche libro, disperatamente, scrive che la velocità angolare si misura in radianti su secondi, ma sono libri scritti per lo più da matematici, perché il fisico che legge 42 Mhz pensa: vattelappesca se è pulsazione o frequenza, e dove sta il 2 pi greco! E uno si deve rifare i conti sul momento a seconda del contesto. L'unità di misura dovrebbe essere il più possibile qualificante della cosa di cui si parla, se no è tutta teoria e buonanotte alla disciplina sperimentale.
Per quanto riguarda le situazioni specifiche ricordate, faccio le pulci: 1) lo spazio-tempo è una cosa bellissima, ma per il tempo c'è una bella unità immaginaria da mettergli prima, poi vallo a spiegare alla nostra intuizione che puoi misurare il tempo in metri, e se lo vai a dire in giro può essere che se ti acchiappano non ti fanno più uscire, e, in un certo senso, potrebbero spesso pure aver ragione; 2) massa ed energia si possono trasformare l'una nell'altra, ma la corrispondenza è mediata, senza rispettare le regole di selezione col cavolo che la massa diventa energia e viceversa, e le regole di selezione restano un presidio; 3) stendiamo un velo pietoso, lì sotto non si capisce proprio più niente, e non lo dico io, lo disse Feynman.
Insomma, a parte gli scherzi, seriamente credo che qualche cosa vada perso in questa elisione dei coefficienti di raccordo, e tutto diventa un magma antiintuitivo perché lontano dalla nostra intuizione immediata che è quella che ci fa capire le cose. Ne viene una specie di latinorum per una cultura sempre più di nicchia, purtroppo.
cloc3 dice
non so.
misurare, secondo me, significa fare dei confronti.
se, in un certo contesto, mi accorgo che la velocità della luce può essere uno strumento per confrontare tra loro gli spazi e i tempi, mi sembra utile usarlo.
spiegare la relatività ristretta su un grafico di Minkwosky, con i raggi luminosi a 45°, è cento volte più semplice ed efficace che derivare le trasformazioni di Lorentz con le equazioni che Einstein deriva nella sua "Esposizione divulgativa".
dopodiché, il compito della fisica non è quello di riprodurre, ma di interpretare i fenomeni naturali, che finiscono per essere trasformati in concetti astratti. a volte questo processo ci affascina e ci dà grande soddisfazione, perché ci trasmette una forte sensazione di bellezza, semplicità e sicurezza, altre volte ci travolge per eccesso di sofisticazione.
Lucio Russo dice che è fisica quando ci puoi fare degli esercizi. se ti vengono meglio senza gli indici sopra e sotto fai come credi, ma in generale la regola d'oro è che, quando diminuisce la complessità formale, si ottengono risultati pratici che hanno ricadute economiche favorevoli.
il sistema internazionale non sarebbe stato modificato se non portasse con sé qualche vantaggio concreto.
Matteo dice
Si misura, appunto, confrontando un pezzo con un altro. E però, conserverei sempre la cautela, o almeno il sospetto, che i pezzi messi a confronto abbiano un loro residuo specifico; altrimenti, fin dall'inizio, non sarebbero 2 ma 1. Poi, certamente viene la legge, che unifica ed è spesso maneggevole e sintetica, perciò la si definisce elegante o anche bella, e fin qui come farei a non essere d'accordo? Ecco, è quando da legge la si vuol tramutare in principio, allora mi pare che qualcosa diventi forzato, spinto da una specie di volontà di potenza o di immortalità, e avrei voglia di dire che mi scatta l'istinto di mettere la mano sulla pistola; ma pure questo, cos'altro è se non proprio l'altra faccia del mestiere del fisico, di rimettere sempre tutto in discussione da capo?
Se no, appunto, uno si iscrive a matematica.
Marco dice
Va tutto bene, solo attenzione che lo scopo della fisica non è solo quello di "interpretare i fenomeni naturali", ma anche (sopratutto?) di usare tali interpretazioni per fare previsioni su fenomeni non ancora osservati. E per fare predizioni occorre poter calcolare, per quella che qui viene etichettata come "complessità formale" (mi pare di cogliere un certo stigma) non viene (solo) introdotta perché è bella o elegante, ma perché permette di realizzare calcoli complessi di quantità che poi uno cercare di misurare o rivelare con maggiore facilità.
Che esista una correlazione negativa tra complessità formale e "risultati pratici che hanno ricadute economiche favorevoli" mi pare poi un azzardo un po' gratuito, ma sorvolo 😉
cloc3 dice
forse la ricaduta economica di cui ho cercato di parlare, magari in un abbozzo troppo sintetico, può essere riconosciuta nelle stesse osservazioni di Marco: "permette di ... misurare e rivelare con maggiore facilità". o più in generale, permette di sviluppare tecnologia più competitiva.
non credo di avere espresso una preclusione a priori nei confronti della complessità formale, anche se confesso che, frequentemente, mi succede di esserne travolto 🙂 . solo che, in questo momento, siamo andati ragionando sull'opportunità di modificare le convenzioni per introdurre nuove definizioni delle unità di misura con artifici che avrebbero una natura
sterile e matematica.
io non credo che sia così. piuttosto, lo spirito critico del fisico deve rivolgersi proprio a indagare sulla trasformazione concettuale delle entità che sono state ridefinite. gli spazi e i tempi che misuriamo adesso non sono più gli stessi che riportavamo, in modo completamente separato e indipendente, alla dimensione del metro campione depositato al Louvre o del battito del polso. adesso gli spazi e i tempi si confondono in un gioco dinamico di corrispondenze giocate intorno all'invariante fisica della costante universale. la durata misurata dal mio orologio contiene in sé il tempo proprio dell'evento nel suo sistema di riferimento e il ritardo impiegato dalla luce per attraversare lo spazio che mi separa da esso.
ho quindi l'impressione che il residuo specifico che distingue le diverse grandezze fisiche si assottigli in un modo concreto e necessario, sul quale è utile e proficuo interrogarsi.
Marco dice
Caro Matteo, ovviamente dissento, ma non cercherò di convincerti perché mi pare che tu abbia deciso con grande chiarezza quale è a tua posizione. Mi limito solo ad aggiungere:
1) Il coefficiente immaginario che sembra darti da fastidio serve a ritrovare la struttura della metrica dello spazio di Minkowski, che è - ci piaccia o meno - quella dello spazio-tempo relativistico in cui viviamo. Senza scomodare la meccanica quantistica, se non lo introduci non puoi per esempio ridefinire l'elettromagnetismo in modo che sia invariate rispetto alle trasformate di Lorentz (e l'elettromagnetismo `e invariate rispetto alle trasformate di Lorentz! 🙂 ). Poi ci sarebbe anche la questione della causalità degli eventi, ma sono certo che questa cosa la sai anche tu...
2) Nessuno nega le "regole di selezione", ci mancherebbe. Il che non è un argomento che contraddica che massa e energia siano collegate e (in certo contenti) interscambiabili. Se vuoi misurare l'energia in Joule e la massa in libbre fai pure, ma i fattori di conversioni sono convenzioni (e si, questo include anche la velocità della luce!)
3) Non sono certo che Feynmann abbia mai detto qualcosa del genere (troppo spesso facciamo dire al povero Richard o allo zio Albert roba che non si sarebbero mai sognati). Visto quanto meccanica quantistica relativistica, o meglio, quanta teoria quantistica dei campi Feynman ha contribuito a sviluppare (l'idea dei path integral è sua!), mi sembra tu gli stia forzando decisamente la mano.
Quanto invece all'ultima dichiarazione:
ecco, questo invece non ti fa onore. L'intuizione immediata ci ha portato fuoristrada quasi sistematicamente da Aristotele in poi. Il mondo in cui viviamo è complesso e spesso contro-intuitivo rispetto alla rappresentazione che ce ne facciamo con i nostri sensi. La scienza è sempre avanzata immaginando rappresentazioni e spiegazioni inizialmente controintuitive, che si parli della curvatura della Terra o del modo di comportarsi del mondo microscopico.
Matteo dice
E finalmente l'ho ritrovato! Ho dovuto metter giù tutta la libreria, e m'era capitato subito in mano QED, ma non stava lì, e invece eccolo finalmente il libro, e ovviamente mi stava davanti agli occhi, si tratta del più agevole: La legge fisica, ed Borighieri, pag. 145-146, copio:
“C'era un tempo in cui sui giornali si leggeva che solo dodici persone al mondo comprendevano la teoria della relatività. Per parte mia non credo che ci sia mai stato un tal periodo: può esserci stato un momento in cui solo una persona l'aveva capita, perché, prima di scrivere il suo lavoro, era l'unico che ci era arrivato. Ma dopo che questo fu letto, diverse persone, certamente più di dodici, capirono in un modo o nell'altro la teoria della relatività. Invece credo di poter dire con sicurezza che nessuno ancora comprende la meccanica quantistica”. Beh, ce l'ho fatta! M'era rimasta impressa così e così era. D'altronde non è che adesso bisogna considerare per forza Feynman come un oracolo infallibile. Preparata racconta d'avergli detto in una conferenza di fare meno il buffone, e che quello gli rispose che dopo la conferenza l'avrebbe preso a calci in c... . Poi diventarono amici, ma per dire: Feynman era un tipetto particolare evidentemente, eppure se uno come lui coltivava perplessità, magari qualche cautela uno la può conservare senza temere d'essere antico.
Personalmente, per mettere in forma covariante le leggi dell'elettromagnetismo, ho sempre preferito portarmi appresso tutte le mu e le epsilon possibili, e non amo per niente quei testi che invece la riducono tutta ad un inseguimento di indici in basso, in alto, in mezzo e di lato, questa è roba da matematici che in questo articolo mi parevano proprio il bersaglio preferito, e secondo me se lo meritano, ovviamente, perché levano il fiato.
In ultimo, sarò pure disonorato, ma intendevo l'intuizione come strumento pedagogico di comprensione, non come strumento di precisione scientifica. E temo che, malgrado i limiti, sia un passaggio obbligato perché gli uomini possano trovare la strada per capire il mondo, e infine anche le cose cosiddette controintuitive, almeno prima di rivestirle di epsilon e delta, corredati naturalmente da una camionata di indici in basso e in alto.
Maurizio dice
Bellissima la chiosa finale, e sottoscrivo tutto tranne una cosa:
si può tranquillamente mettere tutto uguale a 1, ma guai a togliere le unità di misura. Spesso l‘analisi dimensionale è il modo più veloce di capire se la formula è sbagliata, e a volte è pure quello più veloce per crearsela da zero, la formula 😉
yopenzo dice
sottile il tuo post, caro Marco. Il "rigore matematico" (da non confondere col rigor mortis) è magnifico, solo se si sapesse di che si tratta. O meglio c'è il rigore matematico degli ingegneri e dei fisici - per forza se no vien giù tutta la baracca, teorica e pratica - e poi c'è quello dei matematici, che allo stesso tempo esiste e non esiste, perché alla fine da qualche assioma bisogna pur cominciare.
Pure i fisici, nel loro piccolo 🙂 credo che dei dannati assiomi ne sappiano qualcosa: da Newton a Einstein, per dirne due a caso, a Bohr, passando da John Bell e Alain Aspect, negli assiomi ci hanno picchiato il naso anche loro.
Il fatto è quindi che il ruolo degli assiomi in matematica e nelle scienze è diverso. In matematica non si può dimostrare né smentire un assioma inerente a un insieme e ai suoi teoremi perché, per definizione, nell'ambito concettuale identificato dagli assiomi, i teoremi seguono logicamente: basta che ci sia "consistenza ambientale", per così dire.
Al contrario, in fisica, un confronto con gli esperimenti, che provengono dalla teoria che proviene dagli assiomi (dettati anche dall'intuizione?), ha non solo senso, ma deve proprio prodursi, poiché una teoria fisica falsificata deve essere modificata senza tante storie.
Al che uno potrebbe dire: ma se le teorie della fisica si basano sul rigore matematico epperò il rigore matematico è quantomeno sfocato per non dire artefatto, su che cosa stiamo poggiando (letteralmente) i nostri piedi?
yopenzo dice
Marco, proseguo (non ci obbliga nessuno nè) e mi domando e ti domando, se posso osare nevvero, una curiosité, visto che se ne parla in questo tuo post: ma voi fisici che vi piace tanto misurare (e lo fate pure bene, tocca dirlo), la Teoria della misura, quella strettamente matematica intendo, tipo le sigma-algebre, Lebesgue e compagnia, la contemplate nel vostro percorso di studi normale, cioè quello che porta alla "semplice" laurea, o ve la dovete cercare come "bonus"? Te lo chiedo perché mi pare, ma non ne sono sicuro, che sebbene essa non abbia importanza effettiva, appunto forse, sulla ricerca e l’ottenimento di risultati concreti (in fisica), sia un argomentone che allarga la zucca pensante in senso generale.
Marco dice
Si tratta di argomenti che vengono affrontati (in forme più o meno approfondite a seconda del piano di studi più o meno teorico) in corsi che solitamente hanno nomi come "Metodi matematici per la fisica" e si affrontano al terzo anno dei corsi di laurea (ma forse anche già prima in Analisi 2? Non ricordo bene). Comunque, anche per il fisico sono concetti fondamentali per affrontare poi la teoria degli spazi di funzioni (tipo lo spazio di Hilbert) senza la quale non si può affrontare dignitosamente la meccanica quantistica anche elementare.
yopenzo dice
Forte! Però, con tutta 'sta matematica, tempo per far fisica ve ne rimane? ?
Marco dice
😀
Beh, a guardare bene una parte non trascurabile di questa matematica è stata sviluppata proprio con la fisica in mente (un po' come le trasformate di Fourier o le equazioni differenziali, per fare i primi due esempi "semplici" che mi vengono in mente), per cui mi sa che siamo di fronte a un problema di uovo-e-gallina 😉
yopenzo dice
Mi sa proprio...
Grazie per l'interazione.
Stefano Cardanobile dice
Epperò, se è vero che i matematici da un certo punto in poi pensano come fisici, è anche vero che molte delle intuizioni che pensano di avere si dimostrano essere false alla prova del fuoco della dimostrazione formale.
A me è personalmente successo tante tante volte
yopenzo dice
Non saprei dire se i matematici da un certo punto in poi "pensano come fisici", anche perché non ho capito cosa vorrebbe significare un'affermazione del genere in senso lato, ma pure stretto, però certo è che "molte delle intuizioni che pensano di avere" suona parecchio strano; un'intuizione ce l'hai e basta, non "pensi" di averla.
Poi la "scrivi giù", come si dice, per esteso, e se regge un'analisi rigorosa bene, se no ciccia. Così va il mondo da che mondo è.