La vedi nel cielo quell' alta pressione, la senti una strana stagione? Ma a notte la nebbia ti dice d' un fiato che il dio dell' inverno è arrivato.
Francesco Guccini, Quello che non
Dall'inizio di Settembre, alle sette e mezzo di mattina, sui campi che separano casa nostra dalla scuola di Giulia si stende una condensa nebbiosa che ci segnala senza reticenze l'imminente arrivo dell'autunno. Sul sedile del passeggero Giulia sonnecchia o pensa alla giornata scolastica che l'attende. Io guido e, mentre i raggi bassi del sole accendono la nebbia e le prime foglie gialle degli alberi, metto "Quello che non", ché la strofa iniziale mi risuona in mente puntuale a ogni fine d'estate.
È il 1990, sono nella mansarda della casupola di campagna di miei genitori, il TG3 dal vecchio Grundig in bianco e nero passa un servizio che presenta il nuovo album di Guccini. È arrivato il momento di rimettere i jeans e mollare i bermuda, e rientrare a Torino per comprare il libri usati per la quarta liceo dall'Avvoltoio, e magari volantinare pure un po', per tirare su due lire. Pietro e Fabio sono partiti per fare l'anno in America, chissà come sarà questa classe senza di loro.
È il 1995, sono nella stessa mansarda, come ormai da tre anni ci sono gli esami di settembre, da preparare appena tornati dalle vacanze. Sono stato in viaggio in Portogallo con Elena e Irene: una la perderò di vista e l'altra la sposerò, ma ancora non so immaginarlo. Suonano i Nomadi nell'astigiano, come ormai tutti gli anni in una qualche improbabile formazione di quelle che tentano dalla morte di Daoglio. Gabriele Ferraris con la mimetica presenta dal palco, c'è da vomitare sulle giostre dopo il concerto, poi tutti gli amici tornano a Torino tranne me, i miei libri e la fisica mi richiamano alla mansarda nel Monferrato, con tutta la quiete e la sua malinconia, ancora per qualche giorno.
È di nuovo settembre, come tutti gli anni, e c'è questo senso di fine, e, forse, di inizio. Sulle strade delle periferie che mi hanno accolto negli anni ho incontrato ovunque "auto a morire nei prati, telai, ciminiere corrose". Il mondo si disfa, e sembra che solo la polvere resti. Eppure. Ieri pomeriggio, in questo settembre di un 2020 così assurdo e difficile, facevo correre la bici su una ciclabile ricavata da vecchie rotaie, su cui non viaggia più nessun treno da decenni, appunto "implacabili per nessun dove". Canto mentre spingo, e ai "sedili di un'ex terza classe" mi ritrovo nel 1986, su una littorina che verrà tolta dalla circolazione uno o due anni dopo. Faccio seconda media, ho un fazzoletto rosso e blu al collo; sulle panche in legno della carrozza c'è Maria che suona la chitarra, e Stefano che mi invita a toccarle i polpastrelli per sentire come devono diventare duri per poter premere le corde. Tornato da quell'uscita scout prenderò in mano la vecchio Eko di mio padre, e non la metterò più giù fino ad oggi.
Si fa a strisce il cielo e quell'alta pressione è un film di seconda visione. È settembre, e verrebbe la tentazione da cantare che "non siamo, non siamo, non siamo": c'è il secondo principio della termodinamica sempre in agguato, e la scorciatoia dell'angoscia è una tentazione forte. Ma l'alta pressione di questi giorni, indecisi tra caldo e pioggia, si batte ogni mattina con la nebbia, e a me racconta che non c'è solo l'estate che fa posto all'autunno. C'è anche l'autunno che regala ancora un sole possibile, tra nebbia e foglie, per andare a esplorare, sudare, amare. Non si può vincere il cammino indifferente dell'entropia, se non per la fugacità di un giorno o di una vita, ma la lotta vale comunque la pena, ed è l'unica cosa che abbiamo.
Luciano Caldera dice
Oltre che un fisico, sei anche un poeta, il tuo post così nostalgico e contemporaneamente sempre attuale mi e piaciuto molto.
Patrizia dice
Non c'è niente da fare: i matematici e i fisici hanno un quid in più. Beh, forse non tutti ma tu sì. Quella canzone, poi...
Alba dice
Che bello quello che hai scritto!
Grazie Marco; per favore, scrivi più spesso, abbiamo bisogno di scienza e poesia.
emanuela dice
Grazie Marco, amo i tuoi post, e questa canzone che ti scava dentro la ascolterò molte, molte volte, non la conoscevo, è bellissima.
lorenza S dice
Quando anch'io frequentavo i durissimi sedili di legno delle littorine (ma come mi sembravano accoglienti dopo tanti km!) con un fazzolettone al collo, settembre era tempo di bilanci e di programmi, di brainstorming di idee, di nuove amicizie con cui dividere la strada e lo zaino (di tela o di responsabilità). Ora che tutto questo è passato e che qui in Italia, la riapertura delle scuole porta un ulteriore "pericolo" e "possibile chiusura" , l'autunno non mi piace più...
Marco dice
È vero che viviamo in un tempo bastardo, sospeso, incerto, pauroso, e anche qui in Francia non manca lo spauracchio di ritrovarsi tutti frenati in casa tra non molto. Però i ragazzi davanti alle scuole sembrano non accorgersene: l'autunno li ha fatti ritrovare dopo anni, e in quegli occhi nascosti dalle maschere, che vedo ogni mattina quando accompagno Giulia a scuola, mi pare di leggere proprio la stessa voglia di immaginare un futuro. Forse siamo solo noi ormai adulti a dover fare i conti con una cautela certo necessaria, ma dietro la quale però ci nascondiamo forse anche più del dovuto. Questo autunno, nonostante tutto, io lo zaino non intendo appenderlo al chiodo. Un abbraccio, coraggio!
Marco dice
Caspita, quanti ricordi mi hai fatto risalire, avevo rimosso quella canzone, come ho letto la strofa mi è rivenuta su tutta, in tutta la sua pienezza. E con tutti i ricordi di quegli anni. Grazie, è sempre un piacere leggerti, probabilmente se tu non avessi fatto il fisico avresti fatto lo scrittore