(L'ultima estate è un esperimento di scrittura post-adolescenziale postuma, ispirato al podcast Mortified. Ho scritto questo testo tra l'estate del 1994, l'autunno del 1997 e la primavera del 1999, ma se passate il mouse sui numerelli appariranno dei box di commento scritti oggi, a più o meno 20 anni di distanza. Questa è la diciassettesima puntata, il racconto inizia qui.)
Il campeggio dove abbiamo dormito si chiama in realtà “Campo dei Fiori”: questi sono gli effetti dello scrivere a tarda notte prima di andare a dormire. Dopo aver smontato le tende ci rechiamo in massa a Castiglioncello, casa di Flip. La tribù dei Flip [1]Flip ha un fratello minore, Puck, e una sorella maggiore di cui non si è parlato in questo racconto. è detentrice di un maniero di 400 stanze [2]Una grande villa, insomma. in riva al mare, dotato dei più moderni comfort, [3]Rispetto alla tenda a cui sono abituato. Ha persino dei bagni con la porta, e dei letti! e dove possono essere praticati tutti gli sport olimpici ufficialmente riconosciuti. [4]Inclusa la pelota basca, escluso il curling.
Facciamo il bagno prima di mangiare (alcuni per questo rantolano...) in un mare alquanto bizzarro: la “spiaggia” è di roccia lavica (vulcano “poggiopelato”) “forgiata” dal mare in forma aguzza. Un terrazzino piatto e coperto di “muschio” marino è lambito da due dita d’acqua, poi di colpo cade a strapiombo. Si passa da 2 cm a 4 m di profondità con un passo!
A pranzo gustiamo, in un bar del luogo detto “I Pungenti”, le tipiche schiacciatine (= focacce basse tagliate e farcite). Nella siesta i più si riposano o chiacchierano approfittando dei locali spaziosi della villa, mentre Puck [5]Il fratello minore di Flip, all'epoca in vacanza con i genitori. Ne avevo già parlato. ed io ci esibiamo in plastici tiri a canestro davanti ai garage. [6]All'epoca avevo smesso di giocare a basket con continuità da poco, e ancora praticavo a tempo perso. Non sono mai stat un drago, ma me la cavavo.
In seguito avrei ricordato questo momento come quello di massima alienazione delle vacanze. I giochi erano fatti, le rabbie fuoriuscite e tutte le parole da dire dette. [7]Tranne, mi pare evidente, da parte mia, ancora in piena fase di sopportazione e martirio. Ognuno si teneva il posto che si era conquistato o ritagliato in queste ultime due settimane. Il mio evidentemente era con Puck a giocare a basket. [8]Ecco
Dopo un altro bagno viene l’ora della partenza, questa volta definitiva: si torna a Torino. La mia abilità e fama di pilota è ormai alle stelle, così guido io (... ovviamente la Punto di Tecla...).
Propongo un mezzo progetto di andare a mangiare a Finale Ligure da Sonia; [9]Sonia è mia sorella minore, che all'epoca lavorava in una pensione di Finale. Visto il ruolo marginassimo nel racconto, la sua identità sarà lasciata in chiaro. l’idea sfagiola tutti, ma (peccato) la stanchezza e l’ora tarda a cui giungiamo a Genova spingono i più a rinunciare. Devo così supplire alle trenette al pesto e al sognato fritto misto in un Autogrill con un panino al prosciutto e dei biscotti.
La realtà è che la fine della vacanza è talmente vicina che nessuno vede il motivo o prova il desiderio di prolungarla ancora. Nessun altro momento di convivialità, in fondo, potrebbe attirare ancora qualcuno di noi.
Il viaggio di ritorno è piacevole: Tecla dorme, ed io guido e chiacchiero con Cassandra di affidamento dei minori [10]Vengo da una famiglia adottiva e affidataria, e ho una certa esperienza - teorica e pratica - di accoglienza di minori in difficoltà. All'epoca in molti ci confrontavamo anche con l'idea - per i più squisitamente teorica - di aprire una possibile futura famiglia a un'esperienza del genere. e amenità varie.
Ecco, su questa stupida autostrada buia mi sento finalmente di nuovo sereno. La sensazione è proprio di intimità, uno spazio vuoto e delicato da riempire con quello che voglio e che ho dentro da tirare fuori. Anche Cassandra sembra essersi accorta di questo, e a volte si gira a guardarmi quasi stupita. Come se fosse strano poter parlare di qualcosa che ci interessa, e non degli altri, o come se semplicemente per la prima volta da giorni mi vedesse di nuovo, e si stupisse del fatto che sia piacevole stare insieme con me.
Verso le 11:30 [11]Le 23:30 ci infiliamo in Corso Unità d’Italia: siamo a casa. Con la certezza che si arriva sempre per ripartire, [12]All'epoca scrivendo questa frase avevo certamente in testa la Canzone per Francesco di Roberto Vecchioni, che ink un certo verso canta che "si parte per vedersi ritornare". e che ogni fine è in realtà un inizio, me ne vado a nanna nel mio lettino. Sempre nomadi! [13]Augusto Daoglio era morto da meno di due anni.
(continua)
Note
↑1 | Flip ha un fratello minore, Puck, e una sorella maggiore di cui non si è parlato in questo racconto. |
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↑2 | Una grande villa, insomma. |
↑3 | Rispetto alla tenda a cui sono abituato. Ha persino dei bagni con la porta, e dei letti! |
↑4 | Inclusa la pelota basca, escluso il curling. |
↑5 | Il fratello minore di Flip, all'epoca in vacanza con i genitori. Ne avevo già parlato. |
↑6 | All'epoca avevo smesso di giocare a basket con continuità da poco, e ancora praticavo a tempo perso. Non sono mai stat un drago, ma me la cavavo. |
↑7 | Tranne, mi pare evidente, da parte mia, ancora in piena fase di sopportazione e martirio. |
↑8 | Ecco |
↑9 | Sonia è mia sorella minore, che all'epoca lavorava in una pensione di Finale. Visto il ruolo marginassimo nel racconto, la sua identità sarà lasciata in chiaro. |
↑10 | Vengo da una famiglia adottiva e affidataria, e ho una certa esperienza - teorica e pratica - di accoglienza di minori in difficoltà. All'epoca in molti ci confrontavamo anche con l'idea - per i più squisitamente teorica - di aprire una possibile futura famiglia a un'esperienza del genere. |
↑11 | Le 23:30 |
↑12 | All'epoca scrivendo questa frase avevo certamente in testa la Canzone per Francesco di Roberto Vecchioni, che ink un certo verso canta che "si parte per vedersi ritornare". |
↑13 | Augusto Daoglio era morto da meno di due anni. |
marcog dice
Strano, avevo in mente da anni la stesura di un romanzo con lo stesso titolo e -attenzione- la stessa data!
Il mondo è piccolo, le storie sono quelle un po' per tutti: fra campeggi e gite e musica e bevute si aggirano i cuori, vagabondi in cerca di una giaciglio da quale fuggire appena possibile per un altro, qualunque sia.
Il 19 agosto 1994, nel pieno dei miei 23 anni, baciai per la prima volta una ragazza di 18 anni conosciuta dieci giorni prima in montagna (Sauze d'Oulx, per amor di precisione), bacio che avviò una turbolenta storia di 5 anni condita di convivenza per l'ultimo e mezzo, ovviamente terminata male. Così male che a venticinque anni di distanza nel momento in cui sto scrivendo... scrivo di lei, penso a quel bacio, a quei giorni, scorrono davanti agli occhi quelli successivi, le autostrade viaggiate allo sfinimento in cerca di momenti da ricordare e foto da buttare. E buttate le foto, i momenti restano dentro ineffabili, impossibili da descrivere a chi sarebbe venuto dopo, a fatica, non senza graffiarsi contro il filo spinato in cui avevo avvolto il cuore. Penso al silenzio di decenni, dopo. Penso ai social che maledico, perché mi hanno permesso di vedere le prime rughe sul suo viso di quarantenne a segnare gli occhi stretti in un sorriso raggiante, in una città lontana, accanto al marito e ai suoi tre figli. Viso che viceversa sarebbe rimasto in me quello di una ventenne con il suo ovale perfetto incorniciato da una cascata di riccioli neri, lo sguardo sognante che emanava incredibilmente come un’aura di dolcezza quando mi guardava, almeno all’inizio. Ed io restavo stupito ed incredulo a ricambiare lo sguardo, e giuro che quell’aura la vedevo…
I suoi figli non sanno di Sauze, dei campeggi in Toscana, dei carruggi di Genova, di uno spiazzo fra le fronde sul Passo del Bracco in Liguria chiusi in macchina al buio così tante volte, di un piccolo appartamento in periferia, di troppe aspettative e di non sentirsi pronti. Perché lì, alla fine, si stringe l'imbuto. Non devono saperlo, per loro la vita, la Storia del mondo che per loro è iniziata 13 anni fa, l’età del maggiore. Prima, il nulla.
Dopo l'ultimo abbraccio fra le lacrime, le strade non si sono più incrociate. Ho sterzato ogni volta si presentasse il rischio, cercando traverse o caselli anche occasionali, di riparo o rimedio, perché doveva essere così.
Mia figlia ha due anni e i miei occhi, non ci vedrò i suoi mai, per fortuna. Fortuna mia. Per lei la Vita prima non esisterà, forse un giorno scoprirà il baule che tengo in fondo alla cantina, seppellito fra le cianfrusaglie, lo aprirà e leggerà qualche lettera, vedrà le pochissime immagini che per caso sono scampate alla furia del giorno dopo, che non ho più avuto la forza né di buttare, né di guardare. Tanto, le ho ben impresse nella memoria… Magari le scoprirà a 18 anni, e vedrà un’altra diciottenne, di un’epoca sconosciuta, in un imbarazzante, paradossale incrocio temporale. Dovrò essere morto, io perché accada. Per andare avanti ho cancellato la mia storia, cosi che: “Non c’è più nessuno, che mi parli ancora un po’ di lei, ancora un po’ di lei…”.
Torno a Sauze, sai? ho comprato lì un alloggio piccolo, perché è l’unico posto dove davvero, quando arrivo, attraverso una nebbia magica uscito dalla quale ho di nuovo ventitré anni, i capelli più lunghi e castani, la maglietta dell’ultimo concerto del mio cantante preferito, una chitarra nel bagagliaio per ogni evenienza, un futuro di promesse. Un futuro, un futuro qualunque. Un futuro che oggi vedo solo voltandomi all’indietro, che non somiglia a quello che pensavo di stare guardando all’epoca. Nessun giudizio, solo diverso. In silenzio, io cammino ed ho vent’anni. E lo so solo io.