Un mesetto fa sono stato a Bologna, invitato dall'INFN a tenere una lezione sui blog scientifici nell'ambito di un corso di formazione per ricercatori dedicato a "Scienza e Media". Non è la prima volta che faccio una lezione o un intervento del genere: complice questo blog (e il libro) che ho scritto sono diventato un "ricercatore visibile", e in questo genere di scuole l'esperienza personale sembra essere sempre benvoluta. Blatero pubblicamente di blog scientifici, partendo dalla mia esperienza, ma cercando di analizzare il fenomeno con uno sguardo un po' più ampio, almeno dal 2012. Quando quest'anno mi hanno invitato per un intervento simile, però, devo ammettere che mi sono sentito un po' a disagio. Perché? Semplice: a essere completamente onesti, i blog in generale, e i blog scientifici in particolare, sono morti.
Cosa vuol dire che i blog sono morti? È un discorso lungo, per il quale, se l'argomento vi interessa, vi invito ad andate a spulciare nelle slide che ho usato come supporto per la mia chiacchiera a Bologna (sono qui sopra): troverete diversi link che analizzano il fenomeno in modo decisamente migliore di quello che potrei (e voglio) fare io su queste pagine. Semplificando molto, la realtà odierna è che il blog, usato come strumento di diario personale e di luogo di diffusione (più o meno commentata e curata) di contenuti reperiti in rete, è stato pressoché completamente soppiantato dai social network. Vuoi pubblicare una foto o un video di un viaggio, di un evento, di un incontro? Lo fai su Facebook, o su Instagram, o Youtube. Vuoi condividere e commentare un articolo interessante, o controverso? Lo posti su Twitter, o Facebook, o Google+. Hai un'opinione da rendere pubblica? Ancora: la posti su Facebook, Twitter, Tumblr, o qualunque sia il tuo social network di elezione. Perché dunque fare nel 2016 la fatica di aprire un blog, la cui manutenzione è tecnicamente più complessa, e il cui raggio d'azione diventa ogni giorno più corto? La maggior parte dei lettori potenziali sono comunque dentro le mura dei social.
Succede così che i blog muoiono, perché la voglia di scrivere va di pari passo con la conversazione che un'opinione scritta genera, con il dibattito di cui riesce a far parte. E il dibattito, anche quello ancora generato da un contenuto ospitato su un blog, si è oggi irrimediabilmente spostato dai blog ai social, spesso in maniera frammetaria e inorganica, anche se non necessariamente becera. Quando scrivo qualcosa su Borborigmi, ho imparato che se voglio generare un po' di traffico, devo postare il link dell'articolo almeno su Facebook e Twitter. Ho anche imparato che le prime reazioni arriveranno proprio sui social, molto prima e molto più rapidamente di qualunque commento che faccia la strada necessaria per approdare sul blog. E sui social, la reazione è spesso semplicemente un "mi piace" on un "retweet", un generico attestato di stima o apprezzamento, che però non aggiunge nulla a quello che ho detto, che non fa domande, che non mi stimola a scrivere ancora, a approfondire, o a cambiare direzione. Non è un lamento, sia chiaro, ma una semplice constatazione di come funziona la realtà. Nel corso di una della mie lezioni sui blog scientifici, tenuta a una scuola per dottorandi, un paio di anni fa, una studentessa mi chiedeva: "Ma tu leggi tutto quello di cui dici "mi piace" o che re-tweetti?". La domanda era di per sé l'ammissione di un atteggiamento diffuso: ormai basta aver scannato il titolo di un contenuto per considerarlo proprio. E questo atteggiamente ha conseguenze dirette sui contenuti stessi.
Anche se decidi di mantenere aperto un sito personale, inoltre, la dimensione cronologica, così essenziale alla natura del blog, è ormai un sogno irraggiungibile. Sono gli algoritmi di Google o di Facebook che controllano la visibilità di quello che scrivi, e il valore dell'evoluzione temporale è perso irrimediabilmente. Il che ovviamente cambia l'essenza stessa di un blog, che si trasforma in un sito più tradizionale, un contenitore di contenuti gioco forza più anonimo, o, se connotato, definito da un tono istantaneo, e non da un'evoluzione, che era invece la sua cifra originaria.
Che i blog "muoiono" vuol dire che chiudono, che languono accuditi poco, oppure semplicemente che si trasformano. Qualche mese fa Wolly ha diffuso un plugin per WordPress, il motore che fa funzionare Borborigmi come altri milioni di siti, che conta il numero di articoli e commenti nella vita di un blog. Ecco che cosa dice di Borborigmi, che fra un mesetto compirà 10 anni.
ANNO | ARTICOLI | MEDIA CARATTERI PER ARTICOLO | CARATTERI PER ARTICOLO | MEDIA COMMENTI | COMMENTI TOTALI |
---|---|---|---|---|---|
2018 | 13 | 3,829 | 49,777 | 16.2 | 210 |
2017 | 42 | 4,286 | 179,978 | 7.8 | 328 |
2016 | 43 | 5,298 | 227,798 | 11.4 | 492 |
2015 | 35 | 4,119 | 144,147 | 13.2 | 462 |
2014 | 46 | 3,633 | 167,094 | 12.8 | 589 |
2013 | 57 | 4,070 | 231,965 | 13.5 | 769 |
2012 | 78 | 3,939 | 307,168 | 24.2 | 1,889 |
2011 | 86 | 5,206 | 447,645 | 29.4 | 2,529 |
2010 | 95 | 3,689 | 350,427 | 22.9 | 2,173 |
2009 | 76 | 3,254 | 247,290 | 18.9 | 1,438 |
2008 | 80 | 3,054 | 244,249 | 25.5 | 2,036 |
2007 | 67 | 2,609 | 174,764 | 3.4 | 230 |
2006 | 44 | 2,264 | 99,590 | 0.3 | 14 |
Io ho certamente iniziato a scrivere meno (tra il 2012 e il 2015 c'è circa un fattore due di meno sia per numero di articoli sia per la lunghezza complessiva di quello che ho scritto), ma ho anche scritto altrove (un libro, svariati articoli per giornali), mentre la partecipazione dei lettori è crollata ancora di più. QED.
Sui blog scientifici, infine, ci sono alcune cose specifiche da aggiungere. Quando ho cominciato a scrivere Borborigmi, nel 2006, sui blog si usava ancora una roba chiamata blogroll: una lista di blog "amici" con i quali si conversava. In quella lista ci saranno stati non più di una dozzina blog che parlavano di scienza. Poi, a un certo punto, e nemmeno tanto gradualmente, scrivere di scienza è diventata un'attività diffusa, persino ambita, per non dire di moda. Se date un'occhiata al censimento dei blog scientifici italiani compilato dal Chimico Impertinente, vi troverete una lista di oltre 300 blog. Quanti di questi sono ancora attivi? Quanti hanno costruito un progetto organico nel tempo, senza soccombere alla sindrome del sito generalista acchiappa-click? Il fatto stesso che l'ultimo aggiornamento della lista sia della fine del 2012 secondo me la dice lunga su un'esplosione notevole ed entusiasta, seguita da un certo (fisiologico) abbandono.
Qualche giorno fa Franco Fabbri, che dai laboratori INFN di Frascati si occupa da anni di comunicazione della fisica), tirava un po' amaramente le fila (su Facebook!) dell'esperienza di Comunicare Fisica, una conferenza sulle "tematiche e metodologie della comunicazione della fisica da parte dei ricercatori verso il pubblico non specializzato". Due suoi commenti sull'esperienza mi hanno colpito, e mi sembra parlino (anche) di come l'esperienza dei blog scientifici sia evoluta nel tempo (i grassetti sono miei):
La Conferenza segue nel corso degli anni l'evoluzione dell'impegno dei fisici italiani a popolarizzare direttamente la fisica presso il vasto pubblico. Dal 2005, anno pionieristico, al 2012 un anno prima della scoperta dell'Higgs che caratterizzerà poi la progressiva inflazione di iniziative divulgative spesso di modesta qualità. (...)
Nel 2014 un'edizione a Napoli, presso la Città della Scienza, tenta di ricollocare ComunicareFisica da evento culturale di conferenza tematica rivolta al ricercatori impegnati nella divulgazione scientifica, a conferenza-evento spendibile presso il pubblico. Da conferenza riservata ai comunicatori, quindi di servizio, si tenta di inserirla nell' "usa e getta" comunicativo liquido e generalizzato. (...)
Alla scuola di Bologna, subito prima di me, una giornalista parlava della "disseminazione" dei progetti europei. Tra le altre cose, abbordava la necessità di includere nei progetti stessi l'idea di avere un sito web di divulgazione dei risultati, un account Twitter, una pagina Facebook. Alcuni dei ricercatori presenti sembravano inorriditi all'idea, come se raccontare al pubblico i risultati delle proprie ricerche con uno strumento che non fosse un testo lungo su un sito più o meno ufficiale snaturasse la qualità della divulgazione. Penso che si siano un po' ricreduti dopo la mia chiacchierata, ma una certa dissonanza cognitiva mi ha accompagnato alla fine della lezione. Erano ricercatori decisi ad investirsi nella comunicazione della scienza, ma sembravano avere paura di (o non sapere) come la rete è evoluta, e quali sono le conseguenze. Sono magari motivati ad aprire un blog (malgrado tutte le considerazioni su come i blog siano diventati uno strumento persino marginale nell'internet di oggi), ma non hanno un account Twitter, usano Facebook soltanto per i contatti personali, raramente conoscono gli strumenti comunicativi digitali che stanno emergendo recentemente. C'è parecchio lavoro di formazione agli strumenti da fare, forse lasciando i blog in quanto tali un po' da parte.
In conclusione, forse, prima di parlare di strumenti, bisognerebbe parlare di comunicazione della scienza sulla rete. Poco importa se oggi per parlare di scienza su internet sia meglio usare un blog, una newsletter, un podcast, una presenza intelligente sui social network. La rete ha (assunto) delle dinamiche proprie, che influenzano anche come si parla di scienza, e il modo in cui la comunicazione possa essere (poco, molto) efficace se fatta con questi mezzi specifici. Ho letto di recente un bel post su uno dei blog scientifici più longevi della rete, di cui vi consiglio la lettura (in inglese, sorry, così come gli articoli citati all'interno del testo), che fa una serie di analisi interessanti. Ve ne traduco un stralcio che mi pare illuminante:
Generiamo un sacco di contenuti sulla scienza che vengono consumati principalmente da persone che hanno già a cuore l'argomento, un po' come legioni di giornalisti generarono mucchi di storie e infiniti commenti su Beyoncé e mille altre celebrità. E, di tanto in tanto, una frazione di questi contenuti, avrà per caso un impatto anche sulla consapevolezza di persone che non stanno attivamente cercando informazioni legate alla scienza, lasciandole con la stessa consapevolezza un po' casuale che io ho della cultura delle celebrità.
Ecco, diciamocelo: molta della divulgazione scientifica che facciamo in rete, con i blog con altri mezzi, di fatto parla a orecchie già avvertite. Forse, come conseguenza, dovremmo semplicemente prenderci un po' meno sul serio, sperando che quei contenuti che di per sé parlano principalmente alle orecchie che già vogliono ascoltare, a volte, per caso, raggiungano anche chi quell'informazione non la cerca. Oppure, dovremmo iniziare a considerare l'idea di andare attivamente a parlare di scienza altrove, in luoghi (fisici e virtuali) in cui non tutto l'uditorio sia già predisposto a ascoltare?
Mauro dice
Il problema vero è che i blog servono a stimolare il dialogo e i social network sono solo una vetrina.
E mentre noi "vecchi" vogliamo dialogare e scambiare conoscenze, i giovani cercano solo una vetrina in cui mostrarsi: del resto a chi scrive sui social network non interessano i commenti bensì i like.
Tutto qui.
Ander Elessedil dice
L'argomento mi interessa come fruitore di divulgazione scientifica. Io non ho una laurea in materie scientifiche né ho mai frequentato l'ambiente della ricerca. Sono un semplice appassionato di scienza, avido lettore di blog e articoli scientifici.
Il mio "metodo" è essenzialmente stato quello, nel tempo, di creare una lista di preferiti, sempre più lunga, di blog da seguire in aggiunta ai siti di news come Le Scienze, OggiScienza, National Geographic Italia. Ne seguo un congruo numero, molti in lingua inglese. Da un paio d'anni ho attivato un account twitter per seguire, fra le altre cose, scienziati e giornalisti scientifici.
Ecco, fatte queste premesse (e mi scuso già da ora per la prolissità) dico che sono abbastanza in disaccordo con una delle premesse dell'articolo (il ruolo dei social). Nel senso, è vero che i blog scientifici sono "in crisi", ma, per il mio piccolo campione, sono i blog scientifici in lingua italiana. Oltre alla riduzione dei tuoi post (mi permetto il tu) posso dar conto della sparizione di un paio di altri blog e della cessazione di altri due (Amedeo Balbi e Silvia Bencivelli) giusto l'anno scorso, anche se per vari motivi. Mentre trovo nuovi spunti in lingua inglese e blog storici continuano a produrre a getto continuo.
Qualche esempio.
Bad Astronomy di Phil Plait. Blog che parla di scienza, non solo astronomia. Anche più di un post al giorno, da anni, tutti i giorni. Phil è presente su Twitter e Instagram ma il numero dei suoi post non ne ha risentito. Divulgatore di professione.
Respectful Insolence di David Gorski. Blog di medicina e non solo. Un post al giorno per 5 giorni alla settimana, quasi sempre, da 11 anni. David è molto attivo su twitter e facebook oltre a scrivere anche per SBM. Docente e chirurgo oncologico in un ospedale del Michigan.
Science Based Medicine. Un post al giorno per 5 giorni, a volte 6, a rotazione fra 7-8 autori, alcuni dei quali, come Gorski, ha il proprio blog personale. Alcuni pubblicano costantemente un post alla settimana da anni. Nessuno è un divulgatore di professione. Molti impegnati su twitter e facebook. Il sito adopera la piattaforma Disqus, con articoli che raggiungono centinaia di commenti.
Andy White Anthropology. Il prof. Andy White ha iniziato il blog due anni fa. Pubblica più saltuariamente dei precedenti ma in certi periodi con una frequenza elevata. Insegna antropologia ed è attivo sui social.
Il blog di Jason Colavito. Non è esattamente scientifico, Jason analizza varie leggende metropolitane (UFO, Bigfoot, cospirazioni, ecc..) da un punto di vista scettico. Un post al giorno da anni. Divulgatore professionista.
Potrei citarne altri, come Tetrapod Zoology di Darren Naish o Bones Don't Lie di Kathryn Meyers. Il punto è che in lingua inglese esistono molti blog che pubblicano con continuità E hanno presenza sui social. E ne nascono altri. L'unico italiano che si avvicina come produzione, almeno di quelli che conosco, è Oca Sapiens di Sylvie Coyaud e in parte i blog ospitati su Le Scienze, come Scienza in Cucina di Dario Bressanini.
Ora, come spiegare questa discrepanza?
Essere all'interno di piattaforme aiuta? (Slate per Phil Plait, per esempio o in Italia Le Scienze)
Vi è una diversa cultura divulgativa fra UK/USA e Italia?
Si rivolgono a un pubblico più ampio? (che sarebbe in fondo la chiusa del tuo articolo)
Io, che dell'ambiente della scienza conosco solo le ombre proiettate sulla parete della caverna, non riesco a trovare una risposta soddisfacente.
Tu, da ricercatore e divulgatore italiano (ovviamente, ho letto il tuo libro) che ne pensi?
Cosmic dice
che si metta un Mi Piace senza leggere il contenuto è verissimo. io non lo faccio (quasi) mai, ma tante volte mi è capitato che persone che conosco mettessero Mi Piace ad articoli che dicevano esattamente il contrario di quello che loro pensano - e io li conosco bene, so cosa ne pensano su quell'argomento - solo perchè tratti in inganno dal titolo o dalla figura.
Diego Guidi dice
mi permetto di dire: secondo me sbagli a dare un peso così importante ai commenti
i commenti sono inutili.
Marco dice
@Diego: ovviamente dissento! I commenti in sé possono essere beceri, e in certi luoghi (per esempio i giornali online, ma anche Youtube) sono la vetrina del peggio che la rete estrae dalle persone. Ma la *conversazione* resta secondo me la cifra dello stare in rete, quella che definisce la peculiarità del mezzo rispetto ai media classici, asimmetrici come i giornali e la TV, e, in misura minore, la radio. Se ce ne priviamo, mi sembra un passo indietro.
luca dice
Articolo interessante e (purtroppo) ben centrato.
Aggiungerei solo una cosa, a vantaggio dei blog: la longevità degli articoli scritti.
Un post su Facebook rimane in evidenza al massimo qualche giorno e solo per chi l'algoritmo di fb ritiene sia abbastanza interessato da averlo nella timeline; un tweet dura ancora meno.
Invece un post su un blog rimane lì per sempre, e se ben indicizzato risulterà disponibile ogni volta che qualcuno ricercherà quell'argomento su google. Rimane insomma nella gigantesca libreria collettiva del web, molto più che qualsiasi interazione sui social network.
Per questo credo che nella tua analisi manchi il numero di accessi dei singoli articoli anche nel lungo tempo. Ovviamente sarà un fenomeno del tipo "long tail", molti accessi subito e poi a scemare, ma probabilmente non azzerandosi mai, portando il totale a numeri decisamente più alti di ogni altro tipo di post.
Marco dice
@Ander: grazie per il contributo. Seguo la metà dei "blog" scientifici che citi, e mi sembra evidente che quelli che ancora prosperano sono diventati un'altra cosa: una piattaforma di pubblicazione collettiva, o una "column" all'interno di un giornale o di un portale dedicato. Oppure sono (anche) il blog scientifico di qualcuno che fa il comunicatore di professione. Ma in questo contesto anglofono, dove sono i blog dei ricercatori? Certo, ne esistono ancora (anche in Italia: quello di Bressanini è un buon esempio), ma stanno diventando una cosa diversa. Non è necessariamente un male, ma penso sia necessario non nascondersi l'evoluzione, specie quando se ne parla a qualcuno che inizia, per evitare di indirizzare forze e risorse in direzioni potenzialmente sterili.
Per rispondere poi, per quello che ne so o penso io, alle tue domande specifiche: si, essere dentro una piattaforma aiuta, ma allora quello che fai non è più veramente un blog, anche se continui a chiamarlo così. E si, c'è una differenza abissale nell'approccio (anche istituzionale) alla divulgazione da parte dei ricercatori in Italia e altrove, specie nel mondo anglofono. Sarebbe interessante chiedere a Amedeo Balbi, che per me resta il pinnacolo del ricercatore visibile in Italia, quanto i suoi sforzi divulgativi lo hanno aiutato nella carriera accademica 🙂
Per finire, sul ruolo dei social, resto del mio avviso iniziale, e ho trovato interessante la distinzione tra conversazione e vetrina fatta da Mauro nel commento precedente. La fruizione della rete è cambiata negli ultimi dieci anni, e certi meccanismi impongono un'attenzione rarefatta e una partecipazione sempre più asimmetrica (fruisco velocemente, esprimo eventualmente ammirazione, passo velocemente a altro, non partecipo certo al dibattito), che rende il mezzo a mio parere molto più sterile (o molto più simile alla televisione, che secondo me è male).
Marco dice
@Luca: centri un punto importante. Cinque anni fa, un posto come questo avrebbe fatto un migliaio di accessi sole nelle prime 12 ore dalla pubblicazione. Oggi l'afflusso è ridotto di circa un fattore 2, e le ragioni sono proprio quelle che citi: la possibilità di accesso (o di semplice conoscenza) passano da algoritmi oscuri che promuovono o nascondono con criteri spesso inscrutabili. E il fatto che i contenuti restino accessibili non è necessariamente una consolazione: per trovare qualcosa bisogna sapere di volerlo cercare. I migliori pezzi storici di questo blog restano "il bosone di Higgs spiegato a Oliver", "Massa, velocità, energia. La formula più famosa del mondo e il teorema di Pitagora" e "Vademecum per venire a visitare il CERN". Sono fiero di tutti e tre, ma penso che queste pagine ospitino di meglio o di almeno comparabile, che rimane sepolto. Forse è colpa mia, dovrei curare meglio l'ingresso al sito e proporre qualche percorso di lettura per i nuovi arrivati, ma resta il fatto che Google non è neutro tanto quanto non lo sono i social, e avere la possibilità di cercare non significa arrivare a trovare.
boboviz dice
Sono uno degli amministratori del portale Boinc Italy, la più grande community italiana dedicata al calcolo distribuito volontario per finalità scientifiche (c'è pure LHC@Home) e capisco benissimo la difficoltà italiana (per l'estero non so, tendo a credere al primo commento di Ander, solo per l'esperienza che vedo di "citizen science" in lingua anglofona) di "comunicare la scienza".
Spesso mi sembra ci sia una sorta di atavica diffidenza nei riguardi della scienza in genere, "perchè è difficile" (e talvolta, sicuramente, lo è), cosa che porta a cercare una comunicazione superficiale (retweet, like) sia da chi propone i contenuti che da chi usufruisce della comunicazione stessa. Se contenuti troppo elevati (o esplicati con linguaggio oscuro) è un rischio ben chiaro e presente, meno presente è il rischio dell'appiattimento verso il basso, soprattutto quando la scienza viene comunicata da media generici (che reinterpretano MALE il contenuto di blog specialistici).
E allora, la colpa di chi è? Io, personalmente, metterei in prima fila l'istituzione scolastica italiana.
Roberto dice
Marco trovo che la tua analisi sia assolutamente corretta. IL testo scritto secondo me è fondamentale ma in effetti probabilmente al momento il miglior modo per raggiungere il pubblico è realizzare brevi video su youtube da condividere sui social...
Mi fa sorridere il fatto che nonostante ciò circa un anno e mezzo fa ho deciso di aprire anch'io un blog personale/divulgativo e ho scelto questo canale un po' per semplicità (ammetto la mia pigrizia) ma soprattutto per le motivazioni che ha spiegato Luca poco sopra: un post su un blog è per sempre e se riesco a scrivere un buon articolo mi fa piacere pensare che qualcuno potrebbe trovarlo e magari trovarlo pure interesante anche tra molto tempo
My_May dice
Parlo della mia esperienza. Non frequento i social! Quindi non sono a conoscenza dei loro meccanismi. Penso che sia comunque un discorso complesso e che la mia esperienza non possa essere presa come punto di riferimento. Sta di fatto che personalmente ho tentato di conoscere gli aspetti scientifici di mio interesse ancora prima di avere un approccio con internet. Nemmeno sapevo cos'era il pc. E siamo nei primi anni 2000. Sono andato in libreria e ho incominciato a leggere quel che c'era e che mi interessava di fisica. E cosi ho continuato a fare. Siccome però sapevo che la mia era una conoscenza fortemente limitata, una volta approdato su internet, ho cercato di approfondire cercando un dialogo con chi potesse avere una maggiore conoscenza della mia (quindi Marco ma anche altri). Alle volte mi sono anche permesso di spiegare io qualcosa a chi era proprio a digiuno... e mi sono sentito affrancato e consolato dalla consapevolezza che certi argomenti li possedessi abbastanza bene.
Ora mi chiedo, cosa può comprendere un giovanissimo che legge un articolo su social o su un blog? Forse poco, o niente. Il vero problema (e questo penso sia un aspetto del tutto casuale nella nostra vita) è trovare un meccanismo che accresca l'interesse dei giovani per certi interessanti ma complessi argomenti con ricerche personali. Privare quindi di una modalità di dialogo e approfondimento serio per chi, casualmente, si è accorto di avere un interesse particolare, non mi sembra una buona evoluzione del concetto di divulgazione.
Su internet non riesco a trovare piu nulla di quel che mi interessa benche continui a fare ricerche. Mi interessava per esempio leggere qualche approfondimento sulla nuova (presunta) particella (in lingua italiana). Anche solo qualche teoria strampalata. Niente! Vuoto assoluto.
Se parto dalla mia esperienza personale arrivo alla conclusione quindi che internet (e la sua evoluzione) non ti concede piu il dialogo e l'approfondimento. E se cliccare un mi piace su un post vuol dire dialogare...allora siamo arrivati al capolinea.
Giulio dice
Caro Marco,
penso che sia difficile generalizzare, e che occorra cercare le ragioni caso per caso. Io ho cominciato a leggere il tuo blog dopo l'incidente dell'LHC, perche` c'erano pochi posti dove si potevano trovare informazioni attendibili al di la della comunicazione ufficiale non trasparente. Dopo ho continuato a leggerlo, e la parte principale del blog era dedicata alla divulgazione, scritta bene e molto interessante. Questo si rifletteva nella quantita` di commenti di persone che cercavano genuinamente di capire, e chiedevano quando non avevano capito. Anche la parte personale del blog penso coinvolgesse i lettori, ma non avrebbe potuto attirarli se la parte principale non fosse stata interessante. La frequenza dei post era alta, quindi valeva la pena cliccare e vedere se c'era qualcosa di nuovo.
Ora, secondo me, la parte divulgativa ha lasciato quasi tutto il suo posto a articoli (meno frequenti) sui differenti aspetti del tuo lavoro, e penso che alla lunga alla gente non gliene importi granche` se la tua dottoranda e` stupida o no. In piu` gli intervalli tra un articolo e l'altro sono, in certi casi, molto lunghi, e questo allontana il "lettore cliccatore automatico". In questo caso potrebbe essere utile un link in un sito de tipo di "Physics without Ideology", che e` inattivo da parecchio, pero` raccoglie links verso altri siti interessanti, e permette di vedere in un sol colpo se c'e` qualcosa di nuovo.
Un' ultima cosa; forse hai meno voglia e/o tempo di scrivere sul blog, e forse, dentro di te, ti "colpevolizzi" per questo. Non devi. Le cose e le priorita` cambiano, e obbligarsi a continuare a fare qualcosa (che non e` un dovere) che e` cominciato come un piacere, quando il piacere non c'e` piu', serve solo a peggiorare le cose!
Scusa per questo comment molto diretto, e ciao,
Giulio
Marco dice
Giulio, grazie per il tuo contributo: certamente il ritmo della mia scrittura è cambiato molto, così come il tempo e le energie che da dedicare alla divulgazione vera e propria (che è di fatto un vero lavoro dopo il lavoro). Prendo e porto a casa l'analisi 🙂
Il punto du sui invece dissento è l'affermazione che sia "difficile generalizzare". È vero, ogni blog ha la sua storia, ma credo esista un fenomeno collettivo che non può solo essere ridotto alla somma dell'evoluzione delle esperienze personali. Se questo fosse vero, ci sarebbe semplicemente un turn-over tra blog e autori vecchi e nuovi, che invece non vedo.
My_May dice
Mi permetto una sintesi (da quel che ho capito): Sono morti i blog scientifici perche stanno morendo le curiosità sulle questioni scientifiche!
Non è quindi l'evoluzione sugli strumenti di divulgazione ad essere al centro del problema. Se al blog venisse preferito un altro mezzo, ma la sostanza non cambiasse, allora non non ci sarebbe da scandalizzarsi. Il problema sarebbe irrisolvibile se oltre a essere diminuto l'interesse generale sulla scienza, i mezzi di comunicazione attuali non favoriscano anzi siano diminuiscano l'interesse su certi argomenti. Il che è diverso dal dire che i blog muoiono perche esisterebbero altri mezzi di comunicazione. A quel punto meglio un blog sotto tono che niente.
Marco dice
Non sono d'accordo: dalla mia (piccola) esperienza (anche) nel mondo reale (conferenze, incontri con le scuole, scrittura per riviste e quotidiani) mi sembra che l'interesse generale per la scienza, come lo chiami tu, sia vivo e vegeto, più o meno come lo era qualche anno fa. Mi sembra invece che la capacità (e possibilità) di saziare questo interesse in rete sia diminuita, e questo ha a che fare con l'evoluzione dello strumento, e della capacità di usarlo (sia in lettura che in scrittura), che sono cose che vanno di pari passo.
My_May dice
Sono passato a trovarti su facebook con un pseudonimo ( che ho usato tempo fa per vedere questa nuova realtà).
Ho trovato molte belle le battute (quella del terrorista matematico è carina :D). Ho conosciuto anche il blog di Emanuele (che spulcerò ogni tanto). Ecco... il fatto è che non mi sembra quello il luogo adatto per il resto. Può essere al limite un punto di lancio, come un cartellone pubblicitario che con un clik ti fa confluire in questo (blog). Non capisco perchè ciò non avvenga nonostante tu dica che l'interesse non sia mutato. Chi ha davvero interesse non può restare li a leggersi le numerose battute (che comunque alle volte sono belle e servono a strapparti un sorriso) e non ad impegnarsi nel trovare un dialogo serio su temi seri...anche se... è sempre possibile accostare la nuova particella all'anima di Licio Gelli, ma ci vogliono le prove 😛 .
Va bhe non ho messo nessun mi piace 🙂
marco clocchiatti dice
io non sarei così risoluto nei giudizi.
l'efficacia di uno strumento di comunicazione dipende da una quantità di fattori che non è facile identificare in modo esaustivo.
di tutti questi, però, quello determinante è il fattore umano, che è mutevole e ingovernabile, ma anche inesauribile.
fare dibattito è faticoso. serve buon gusto, entusiasmo, costanza, spirito di iniziativa, fantasia, interesse, coinvolgimento affettivo, intensità. il blog, oltre a tutto, non è sicuramente lo strumento migliore per coagulare tutti questi elementi, perché possiede una struttura asimmetrica nella quale il ruolo dell'amministratore acquista una responsabilità eccessiva, che non è pensabile conservare inalterata a lungo nel tempo.
l'evoluzione instabile dei blog, di conseguenza, è un fenomeno fisiologico, facile da comprendere. è sorprendente, piuttosto, lo stupore e lo smarrimento che proviamo osservando i momenti di difficoltà e di pausa di un blog. non si è ancora spenta in me, ad esempio, l'emozione sconcertata per la chiusura di pollycoke, avvenuta due anni or sono dopo un lungo periodo di faticosa soppravivenza.
può accadere infatti che un blog muoia, ma non muore in noi nè la passione nè l'emozione, il ricordo che quel luogo virtuale ha animato dentro di noi. la traccia indelebile di una esperienza.
non credo che il blog debba temere la concorrenza dei nuovi strumenti che, in questo momento, sembrano imporre la propria aggressività invadente: la qualità degli scambi diffusi sui social è effimera ed estemporanea. I social, piuttosto, manifestano un'evoluzione dell'uso di internet diretto verso una dimensione privata, nella quale ciascun soggetto interviene in un contesto chiuso e limitato. si produce una battuta, si scarica un'immagine, si trasmette una informazione, si condivide un'opinione. non si eleva il dibattito a un contesto aperto, pubblico, costruito su contenuti autonomi e autoconsistenti.
spesso si accede ai social attraverso il telefonino, usando canali indiretti (il numero di telefono o l'account google, anziché l'ip peer to peer) e applicazioni semplificate e limitate nelle caratteristiche tecniche. l'utente si appoggia in modo pesante e passivo alle funzionalità concesse dal fornitore del servizio e finisce per disperdersi in una espressività vuota e stereotipata.
siamo arrivati al punto che molti ragazzi pubblicano sui social immagini firmate non con il proprio nick name, ma con la sigla dell'applicativo con cui hanno
apportato gli abbellimenti alle proprie fotografie. ci sono telefonini che riconoscono il proprietario e ne modificano l'immagine prima ancora dello scatto. si va quindi perdendo la sensibilità nei confronti dell'autenticità e dell'identità dei contenuti.
il problema del blog, quindi, non è quello di entrare in competizione, ma di riconoscere valorizzare la propria identità e la propria funzione, che non è affatto diminuita. io sono un utente poco attivo di questo blog, ma più di qualche volta ci ho portato i miei studenti e ci ho ricavato elementi preziosi per il mio lavoro.
semmai, mi piacerebbe trovare con più frequenza su internet spazi di collaborazione in modalità wiki. se lo scopo della comunicazione è di aprire spazi al dibattito scientifico, è necessario utilizzare strumenti quanto più possibile collegiali ed equilibrati, capaci di affidare pari opportunità di esperessione a tutti i partecipanti. il vero problema nella penetrazione culturale dell'uso di internet consiste proprio nella limitata capacità di noi utenti di dare sufficiente vitalità ai wiki.
ma forse per questo servirebbe ancora più buon gusto, ancora più entusiasmo, più costanza, più spirito di iniziativa, più interesse, più coinvolgimento affettivo, più intensità che a mantenere un blog.
concludendo. impariamo per intanto ad apprezzare quello che abbiamo. e non parliamo di morte, ma solo di un rallentamento, di una riflessione, perché dove si annidano qualità e valori tanto profondi, si troveranno sempre nuove risorse e nuovi argomenti per ripartire.
Davide dice
Marco e Mauro, vi scrivo per portare la mia esperienza sui social network. Io partecipo come amministratore di un gruppo su facebook che si chiama "Meccanica Quantistica: gruppo serio". Siamo in circa 15 amministratori tutti laureati in fisica o astronomia, e molti di noi sono dottorandi, altri post-doc. L'idea del gruppo è venuta a Enrico Gazzola quando ha notato l'enorme quantità di pseudoscienza spirituale new-age che girava per vari gruppi facebook dipingendo un'immagine distorta e ascientifica della fisica quantistica. Dopo aver provato a partecipare a questi gruppi a pensato bene di creare un polo di divulgazione seria e di poterlo gestire come meglio pensasse. Ormai saranno 6 anni che esiste il gruppo e conta di più di 15000 iscritti che continuano a crescere. La maggior parte di essi sono persone già appassionate alla fisica ma senza nessuna base e che pongono moltissime domande anche riguardo alle notizie della stampa; tipo LIGO e le onde gravitazionali. Ci sono un po' di studenti, ma la maggior parte sono uomini nella fascia dei 45-60 anni. Ci sono circa una 50 di persone in media al giorno che partecipano alle discussioni e circa un 200 (stima a occhio) che leggono le discussioni e intervengono saltuariamente. La cosa bella è che c'è un continuo dialogo tra chi ha conoscenze di fisica e chi vuole capirla in modo divulgativo. Tutto questo per dire che le cose su facebook possono essere gestite anche non come una vetrina, ma in un modo che ricorda quello dei forum del Web 1.0
Le discussioni sono sempre guidate da persone esperte e delle volte intervengono personaggi pure importanti come Giorgio Parisi che fanno un bel effetto a vederli scrivere su FB. Spero veniate a darci un'occhiata e magari a partecipare alle discussioni, le quali riservano spesso sorprese interessanti anche per chi fa fisica di mestiere.