L’aereo dovrebbe partire da Ginevra alle 19:15, ma riusciamo ad accumulare quasi un’ora di ritardo per una serie di ragioni assurde. Ci sono passeggeri indisciplinati che non riescono ad adattarsi all’idea che EasyJet abbia assegnato loro un posto, e continuano a passeggiare per l’aereo inseguiti dalle hostess sull’orlo di una crisi di nervi. Sul tarmak, intanto, gli addetti scaricano i bagagli per ricontarli, pare che si siano confusi al check-in. Io ho deciso di essere imperturbabile come un pomeriggio d’estate: sorrido alla signora seduta di fianco a me che mi parla in un misto di francese e dialetto napoletano, mando un messaggio al signor M. che mi aspetta all’arrivo, e aspetto paziente. Sto andando ad Ariano Irpino, provincia di Avellino, volando su Napoli e poi gentilmente autotrasportato sull’appennino fino all’agriturismo Macchiacupa che mi ospiterà in questi giorni. Sempre che l’aereo decolli.
Fino a due settimane fa, non avevo idea di dove fosse Ariano Irpino. Certo, il nome mi forniva un’indicazione geografica piuttosto chiara, ma per me, piemontese nato negli anni Settanta, l’Irpinia è sempre stata una collezione di immagini in bianco e nero del terremoto del 1980 sul televisore di casa. Poi, è arrivato l’email da Laterza:
Gent.ma dott.ssa E. [una delle persone che si occupa di me a Laterza, N.d.R.],
le comunico che la commissione del premio letterario Le Due Culture intitolato a Maria Antonia Gervasio ha deliberato quale vincitrice l'opera “Particelle familiari” di Marco Delmastro. Condizione per la consegna del premio è la presenza dell'autore nella giornata conclusiva del Meeting, domenica 7 settembre. In allegato il programma completo del meeting. Saremo lieti di ospitare il dott. Delmastro nei giorni che riterrà opportuno trattenersi presso il nostro istituto. Per i dettagli logistici può fare riferimento alla dott.ssa S. che ci legge in cc.
Cordialmente, M.F.
Così, nel giro di pochi giorni, ho scoperto che Laterza aveva candidato Particelle familiari per questo premio assegnato “alla migliore opera (…) relativa alla complessità delle relazioni tra scienza, società, politica ed economia”, e che il mio libro aveva vinto. Che ero invitato ad andare in questo luogo remoto sui monti dell’Irpinia, dove ogni anno si tiene questo convegno intitolato “Le Due Culture”, per essere premiato. Che il convegno è organizzato e ospitato da una fondazione che si occupa di biologia e genetica, la BioGeM, gioiellino di eccellenza scientifica misteriosamente piantato nel mezzo della remota campagna agricola. Che il presidente della BioGeM è Ortensio Zecchino, già ministro della Pubblica Istruzione Ricerca Scientifica. Che mi si chiedeva di preparare un breve intervento di una decina di minuti, che sottolineasse "la necessità di un più fitto dialogo tra sapere scientifico e umanistico, oltre che l'importanza di un’adeguata opera di divulgazione scientifica con particolare riguardo alle nuove generazioni.”. Mi sono messo al lavoro.
L’autostrada lascia l’aeroporto di Napoli alle spalle, e il Vesuvio alla sua destra. Ha piovuto molto negli ultimi giorni, il Gargano è devastato e anche qui il tempo è stato inclemente, ma stasera le nuvole si sono diradate quasi a darmi il benvenuto, e una luna gigante illumina le montagne che si avvicinano. Il signor G. guida veloce ma delicato, mentre premuroso contatta l’agriturismo per sincerarsi che qualcuno sia pronto ad accogliermi degnamente all’arrivo, a nutrirmi, rifocillarmi, coccolarmi. Durante il percorso scoprirò che il signor G. di lavoro guida per circa trecentomila chilometri all’anno, pullman e auto a noleggio. Si prende cura lui delle sue macchine, i motori vanno come orologi e le vetture stanno sulla strada fino ad aver percorso cinquecentomila chilometri. La Croma su cui viaggiamo è più vecchia della mia auto, il contachilometri segna una cifra che stento a credere, e non c’è una vibrazione, un rumorino, una scossa.
Coccolato, dicevo. È la parola giusta per descrivere questi due giorni in Irpinia, un luogo dove per tutti sono il “Dottore premiato”, dove i tempi sono rilassati e gli orari sui programmi un’indicazione di massima, e va bene così, è bello, almeno per questa volta. La specialità dell’agriturismo Macchiacupa è la carne alla brace, e anche alle undici di sera mi spetta una bistecca enorme e buonissima. Al mattino di domenica, seduto sul tavolo a fianco Oliver Smithies, Premio Nobel per la Medicina nel 2007, e sua moglie, mi aspetta una colazione luculliana. Poco prima sono andato a correre sulle colline intorno ad Ariano, senza incontrare un’anima. Le pale eoliche punteggiano le alture, le mosche mi ricordano che la zona è piena di allevamenti, c’è un cartello che porta a qualche rovina archeologica, e una dopo l’altra passano le masserie dai muri gialli che presidiano i campi.
Sul pulmino che va a BioGem ci sono due dei relatori dell’incontro previsto alla mattina: Stefano Gresta, il Presidente dell’INGV, e Viviana Castelli dell’INGV di Bologna. Arrivati al luogo dove si tiene l’evento, mi siedo al fondo, cercando di lavorare un po’ a qualcosa che devo preparare per una riunione martedì al CERN, ma dopo un po’ abbandono, il discorso è troppo interessante. Il tema del convegno è “Memoria e oblio”, e stamattina si parla di terremoti, e della loro traccia nella memoria della popolazione, nelle feste e nei rituali. Nel pomeriggio Fabrizio Benedetti dell’Università di Torino affronterà invece il tema della memoria farmacologica e dell’effetto placebo. Questa commistione tra scienze dure e “morbide” è insolita per me, eppure immediatamente familiare.
Qui tutti sembrano conoscersi, vuoi per una partecipazione precedente, vuoi perché hanno frequentazione accademiche di lunga data. Ci sono rettori di università, professori, presidenti. Mi siedo al tavolo a pranzo e mi presento, i titoli accademici non mi hanno mai intimorito. Mi piace fare domande e partecipare alle discussioni, i miei commensali non esitano a spiegarmi e interagire. Al primo “esageruma nen” scopro persino provenienze geografiche affini. Chissà come finiamo a discutere di riduzionismo scientifico, sistemi complessi e libero arbitrio. Mentre passa l’ennesimo piatto di formaggi campani, mi ritrovo a citare Bonhoffer, e mi sembra che vada bene che a farlo sia un fisico delle particelle. Non ci sono due culture, i perché sono in fondo gli stessi, cambiano linguaggi e metodi, e questo forse è l’unico vero ostacolo a capirsi, ma non è impossibile. Forse stasera dovrei dire questo, alla premiazione.
“Non avete considerato di tornare in Italia?”, mi chiede a un certo punto qualcuno. In quest’angolo di sud così pulito, gentile, ordinato e funzionante, per un momento, sembra quasi possibile. "Se ci fossero le condizioni", rispondo, "ma per tutti quanti: per me, ma anche e soprattutto per mia moglie e mia figlia". E, per adesso, chiaramente non ci sono. Una delle ragazze che lavorano a BioGeM, tutte precettate alla buona riuscita dell’evento, ci porta l’ennesimo caffè. Faccio il pieno, prima di tornare alla brodaglia transalpina.
I tempi si allungano, il pomeriggio inizia pigro con un’ora di ritardo, e altro ritardo si accumula. Sono un po’ nervoso, sicuramente non avrò il tempo di dire e mostrare tutto quello che ho preparato, pensavo di poter sforare un po’ permettendomi un quarto d’ora, ma il pubblico, che ha pazientato per l’eccellente discorso di Smithies, comincia ad avere fame, ed essere lieve dopo una giornata di grandi parole è forse la scelta migliore.
Ortensio Zecchino, che tutti chiamano “il Presidente”, è il grande anfitrione, il centro nevralgico di tutta l’iniziativa. Iperattivo e instancabile, danza tra incontri, strette di mano, discussioni e decisioni. Si percepisce l’allenamento da politico di lungo corso, e qui gioca in casa, tutti sembrano adorarlo. A pranzo mi ha raccontato che il premio che riceverò è stato intitolato a Maria Antonia Gervasio, una ragazza fulminata a quindici anni dalla leucemia, dai suoi genitori. Sono tra il pubblico, li incontrerò a cena, dedicherò loro il libro. Sono coraggiosi e generosi, ma negli occhi mi sembra di scorgere ancora il dolore della perdita. Mi muovo sulla punta dei piedi.
Oltre ai miei commensali e ai miei ospiti, quasi nessuno sa ancora chi sono. Le ragazze di BioGeM sospettano che sia un relatore, perché ho la giacca, mi aggiro nei locali sin dalla mattina, e chiaramente non sono del posto. La luna è sorta da un pezzo, il tendone è gremito perché ha appena finito di parlare il premio Nobel, e dopo di me è previsto un concerto per pianoforte e sax, e la cena gastronomica.
M. lavora a BioGeM su un progetto che ha a che fare con i tumori al polmone e alla mammella. Più tardi, tra la premiazione e la cena, mi mostrerà gentile il suo laboratorio, e proverà a spiegarmi l’attivazione di un certo gene e l’espressione di una particolare proteina. Le invidio un po’ gli esperimenti solitari, il controllo totale sulla sua ricerca, l’interazione con un gruppo di colleghi che ha ancora dimensioni umane. Ha messo un vestito adatto alla serata, e adesso sale sul podio a leggere la motivazione del premio, le hanno chiesto di fare anche questo. Le hanno appena dato il foglio, non ha fatto in tempo a leggerlo prima e “borborigmi” è obiettivamente un termine complesso da pronunciare, se non lo hai mai sentito prima. Incespica, arrossisce, e si scuserà a profusione dopo. Io arrossisco per le cose belle che legge, e manco mi accorgo dell’errore.
Salgo sul palco, mi presento, racconto chi sono, cosa faccio di mestiere, veloce e semplice. Mostro una foto del 4 luglio 2012 al CERN, nell’Auditorium dove abbiamo annunciato la scoperta del bosone di Higgs. Ho messo dei circoletti intorno Fabiola Gionotti, a Francois Englert e Peter Higgs, e alla mia testolina in mezzo il mucchio. Una formichina nel mucchio: tutti importanti, tutti utili, questa particella l’abbiamo scoperta in tantissimi, né più né meno. Racconto del blog e della genesi di Particelle familiari, e di come chiedersi perché le cose funzionino in un certo modo, e perché ci siamo ritrovati a vivere nell’universo in cui funzionano così, siano in fondo due facce della stessa ricerca, di comprensione e senso allo stesso tempo. Poi leggo le due pagine finali del libro, quelle che raccontano di una gita in montagna, del cielo notturno e delle domande che ci facciamo, dei racconti delle avventure di Ulisse e delle sue peregrinazioni. "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza”, leggo dalla citazione che ho messo un bocca alla Signora delle Lettere, e prima che possa finire scatta un grande applauso. Pensavo di voler dire altre cose, più complicate e serie e dotte sul rapporto tra le due culture, ma è meglio così, le persone in sala sembrano capire cose intendo, e “ricerca” diventa la parola che fa da ponte.
Peccato che abbiano solo una copia del libro. Tra loro, me e Laterza, avremmo potuto pensarci. Durante la cena, adesso che tutti sanno chi sono, molti vengono a salutarmi, chiedermi, complimentarsi. Compreranno il libro, vogliono sapere di più, e se verrò a presentarlo qui e là. Alcuni ragazzi mi regalano dei sorrisi giganti, e vogliono una foto con me. Scopro che di mestiere fanno camicie su misura nella zona, ma sono curiosi e interessati, e sono venuti a sentire. Ho di nuovo quella sensazione che mi ha preso per un attimo a pranzo, quando mi hanno chiesto se volessi tornare in Italia. Forse potrebbe essere possibile. Forse non è un paese condannato. Forse.
La cucina irpina, montanara, povera, buonissima, è un vero regalo. Il nocino è molto buono, ma anche gli altri liquori non scherzano. Le chiacchiere sono colte e simpatiche, c’è un fare aristocratico in questi intellettuali del sud, ma non esibito, quasi necessario. Come una consapevole dignità del sapere, una certezza del potere vivificante della cultura. Non risolve i problemi politici e amministrativi ed economici che piagano questa terra e il resto del paese (e non tutte le cose che ho sentito proporre nel dibattito di fine serata mi hanno convinto), ma è consolante. Mi chiedo se sia la cifra dell’Italia: eccellente e incapace, ricchissima e povera, speciale e trascurata, dilaniata da questa contraddizione tra capacità geniali e ristagno immobile. Non ho una risposta.
È ancora il signor G. a riportarmi indietro a Macchiacupa. Domani è di turno sul pullman, non sarà lui ad accompagnarmi all’aeroporto, e mi saluta gentile e affettuoso: “ci rivedremo, il Presidente è sempre in movimento, vi richiamerà per qualche altra iniziativa”. In tasca ho svariati biglietti da visita, e indirizzi email scribacchiati sul taccuino. Dove portano le strade tra le colline irpine non lo so, ma il paesaggio è stupendo.
datinto dice
Sono ormai 4 anni che seguo il tuo Blogger e qui di fianco ho il tuo libro. Non so come spiegarlo, ma credo che tu abbia veramente fatto il salto di qualità. Complimenti e grazie per la compagnia
GiovanniR dice
Un passo da casa e non lo sapevo! Sigh! Spero in un altra occasione.
Claudio dice
Bel racconto Marco. Congratulazioni per il premio.
Davide dice
Sindrome di Stendhal? 🙂
Marco dice
Complimenti innanzitutto per il premio.
Molto bello il libro, che ho finito di leggere da qualche giorno (me lo sono letto di filato in un giorno solo talmente mi e' piaciuto!)
E poi c'e' questo tuo bellissimo racconto, in cui dipingi un'immagine poetica, malinconicamente speranzosa di un paese dalle mille sfaccettature e potenzialita', ma addormentato come fossimo preda di un incantesimo che ci ha fatto perdere la fiducia in noi stessi.
Grazie.
luca dice
bellissimo racconto...complimenti Marco....
Michele dice
Bel racconto! L'idea delle due culture è affascinante. Peccato per il "camice"!
Marco dice
Auch! Corretto... (in effetti i ragazzi fanno camicie, non camici 🙂 )