Faccio finta di niente, e continuo la serie sui rivelatori di particelle a LHC come se l'avessi interrotta ieri. Se vi sentite perduti, l'ultima puntata è qui, e da lì dovreste essere in grado di navigare indietro. Altrimenti, potete sempre iniziare dalla prima. Quando saremo verso la fine, lo prometto, metterò tutto insieme con un bell'indice, promesso.
Verso la fine dell'ultima puntata, dopo avervi tratteggiato a grandi linee come funziona un calorimetro elettromagnetico per la misura dell'energia di elettroni e fotoni, vi avevo promesso di raccontarvi quali particolari tecnologie avessero scelto ATLAS e CMS per questo tipo di rivelatore. Vi ricordate? Si tratta di costruire un oggetto dentro il quale elettroni e fotoni possano generare uno sciame elettromagnetico, disperdendo tutta la loro energia e venendo di fatto assorbiti. Vi serve dunque un oggetto fatto di un materiale sufficientemente pesante e di dimensioni tali da assorbire gli elettroni e i fotoni delle energie tipiche che volete misurare, e allo stesso tempo attivo in modo da trasformare l'energia assorbita in un segnale che potete misurare.
I calorimetri elettromagnetici in uso al giorno d'oggi si dividono sostanzialmente in due categorie: i calorimetri omogenei e quelli detti "a campionamento". I primi sono fatti di un materiale che è allo stesso tempo pesante e attivo: lo stesso materiale induce gli sciami e ne misura l'energie. I secondi sono delle specie di panini che alternano un materiale passivo, che si occupa di fermare elettroni e fotoni e di indurre gli sciami, e un materiale attivo che ne misura una frazione d'energia. Entrambe le tecnologie hanno pregi e difetti. I calorimetri omogenei sono generalmente più precisi nella misura dell'energia (in gergo, ha una migliore "risoluzione"), perché producono un segnale per tutte le particelle nello sciame. In compenso, sono rivelatori generalmente più grossi, fatti di materiali costosi e spesso fragili, e spesso non è facile dividerli in sezioni piccole, in modo da poter misurare non solo l'energia degli sciami elettromagnetici, ma anche a loro posizione e la loro forma. I calorimetri a campionamento hanno generalmente una risoluzione energetica peggiore, perché misurano solo la frazione di energia rilasciata nelle sue parti attive, mentre quella persa in quelle passive va in qualche modo "indovinata". In compenso sono dei rivelatori potenzialmente più compatti, e, in certi casi, permettono una segmentazione veramente fine, che garantisce una precisione invidiabile della misurazione spaziale e della forma degli sciami. ATLAS e CMS hanno ovviamente optato per due tipi di calorimetro elettromagnetico opposti, rispettivamente a campionamento e omogeneo, scommettendo appunto sui diversi punti di forza.
CMS ha un calorimetro elettromagnetico omogeneo basato su cristalli di tungstato di piombo, che inducono gli sciami e allo stesso tempo emettono luce al passaggio di particelle cariche. È la misura di questa luce che permette a CMS di risalire all'energia di elettroni e fotoni, con una risoluzione veramente eccellente. I cristalli di CMS sono stati però complessi da costruire, e hanno una dimensione minima pari a un quadratino di 2.2 cm di lato, che rappresenta l'unità spaziali minima di quel calorimetro. Come se non bastasse, questi bei cristalli danno qualche problemino in presenza della radiazione generata dalla particelle che li attraversano, perché hanno tendenza a diventare almeno parzialmente opachi, cosa che non ne facilita la calibrazione (i nostri colleghi di CMS devono regolarmente illuminarli con un laser per verificarne la trasparenza nel corso del tempo).
ATLAS ha optato invece per un calorimetro elettromagnetico a campionamento, la cui parte passiva è composta da strati piombo, mentre il mezzo attivo è Argon liquido (ovvero, molto freddo: a temperature ambiente l'Argon è un gas). La risoluzione in energia è decisamente peggiore di quella del calorimetro di CMS, perché ci tocca indovinare quanta energia (che non vediamo) va persa nel piombo. In compenso, l'Argon liquido è molto resistente alla radiazione, e altrettanto stabile nel tempo, che cose che facilitano di molto la calibrazione del calorimetro (facilitano è ovviamente un eufemismo, c'è gente come il sottoscritto che ha costruito una carriera sulla calibrazione di questa bestia maledetta!).
Come se non bastasse, gli elettrodi di lettura del calorimetro elettromagnetico di ATLAS, che in questo caso raccolgono le cariche elettriche prodotte dalla ionizzazione dell'Argon, sono segmentati in cellette larghe anche solo 4 mm, e persino lungo la profondità del calorimetro, permettendo quindi la misura della forma degli sciami in ogni direzione, cosa che è determinante per la separazione di certi segnali (per esempio, i fotoni che potrebbero venire dal decadimento del bosone di Higgs) da certi rumori di fondo (per esempio, le coppie di fotoni che vengono dal decadimento dei pioni neutri). E, tra l'altro, permettono anche di misurare con buona precisione il vertice di provenienza dei fotoni, che, come sapete, non lasciano scie nel tracciatore centrale. Per non parlare delle peculiare forma a fisarmonica del rivelatore stesso, della quale vi dirò soltanto che serve a far sì che non resti nessun spazio libero dal quale una particella possa scappare inosservata.
Quale delle due tecnologie è migliore? Dipende: per molti versi si tratta di rivelatori complementari, che sopperiscono con i loro putti di forza alla loro mancanze. Nella ricerca del bosone di Higgs nel suo decadimento in due fotoni, il calorimetro di CMS ha una sensibilità migliore grazie all'eccelsa risoluzione nella misura dell'energia dei fotoni, ma subisce una maggiore contaminazione da parte del rumore di fondo dei fotoni spuri. Analogamente, il calorimetro elettromagnetico di ATLAS sopperisce a una peggiore risoluzione in energia con un'eccellente capacità di ricezione dei fondi. Perlomeno sulla carta, alla fine le sensibilità dei due esperimenti a questo particolare canale di decadimento sono comparabili. Nella realtà, ci sono molte incognite per poter giudicare obiettivamente, perlomeno oggi.
Nella prossima puntata, una carrellata sui calorimetri adronici, quelli che servono per misurare l'energia degli adroni, che normalmente passano attraverso i calorimetro elettromagnetici poco meno che indisturbati.
Mauro dice
metterò tutto insieme con un bell'indice
Visto quanto ci hai fatto aspettare, noi però dovremmo darti un bel medio! 😉
Saluti,
Mauro.
Marco dice
@Mauro: wow, che classe. Un vero lord 🙂
dario dice
un saluto marco...
chissà se tu hai dato una mano...:)
http://www.roma1.infn.it/cms/tesi/doglioni.pdf
Marco dice
@Dario: no, non ho mai lavorato per CMS. Però conosco bene Caterina, l'autrice, che adesso lavora in ATLAS 🙂
Fabiano dice
@Marco: articolo molto interessante! Questa è la vera ciccia del blog per i golosoni come me! 🙂 Ma immagino sia anche la roba che ti richiede più tempo per scriverla. Grazie! dato che è GRATIS... 😛
dario dice
@Marco: grazie per la cortesia che ci usi nel risponderci...riflettevo su un fatto, quanto sia piccolo poi il mondo ed il web...sembrano sconfinati eppoi invece...
ieri dopo aver letto il tuo interessantissimo post, per approfondire un pò sono andato su google ed ho digitato "tungstato di piombo" , mi incuriosiva questo materiale e le sue proprietà.
In pole position mi è uscita la tesi della dottoressa di cui sopra, che ho anche letto comprendendone solo 1/10 di quanto scritto; e credendo di fare "del bene" ho postato il link.
quindi non solo non ho apportato nulla di nuovo alla discussione, ma "ho presentato" il lavoro di una persona che conosci benissimo e che è tua collega...
🙂 🙂
E' davvero piccolo sto mondo...
|iii];)'
Anonimo dice
Piccolo refuso:
... potente misurare. ...
Marco dice
@Anonimo: corretto, grazie.
Gian Luigi dice
Tungstanato di Piombo.