Poco meno di quattro mesi fa mi ero messo in testa di scrivere una serie di articoli per spiegare le basi del funzionamento dei rivelatori di particelle di LHC. Poi in mezzo c'è stato il caos di Pasqua, e il progetto si è fermato alla prima puntata. Facciamo finta che non sia successo niente? Riprendo oggi, sperando di arrivare in fondo prima di Natale. Visto il tempo che è passato, potrebbe essere utile andarsi a rileggere la prima puntata, giusto per rinfrescarsi la memoria.
Allora, dicevamo: ogni tipo di particella di cui andiamo alla ricerca prima o poi decade in elettroni, fotoni, muoni, un qualche tipo di adrone, neutrini, o nelle loro antiparticelle. Lo scopo primario di un rivelatore di particelle è quello di riconoscere queste particelle stabili (o stabili per un tempo sufficiente), che chiameremo prodotti di decadimento, e di misurarne le proprietà. Con un processo di estrapolazione (l'analisi dei dati vera e propria) si cercherà di risalire in un secondo momento a quale possa essere la particella iniziale (quella è decaduta subito dopo essere stata prodotta), partendo dalle caratteristiche dei suoi prodotti di decadimento. Di questa estrapolazione parleremo poi, una volta finito con i prodotti di decadimento e i rivelatori.
Per prima cosa, proveremo dunque a capire come si identifichino i prodotti di decadimento. Ricordiamolo, stiamo parlando in sostanza di cinque famiglie di oggetti: elettroni, fotoni, muoni, adroni vari (protoni, neutroni, pioni, kaoni, ...) e neutrini. Ognuna di queste particelle ha un suo modo caratteristico di interagire con la materia che attraversa, e i rivelatori sfruttano queste caratteristiche per identificarli. La firma caratteristica di ognuna di queste particelle non è unica (sarebbe troppo facile!), ma è data dalla combinazione di pochi modi caratteristici di interazione, non più di quattro o cinque. Eccoli qui:
- Una particella può avere carica elettrica, positiva o negativa (per esempio: elettroni, muoni, protoni, pioni carichi), oppure essere elettricamente neutra (per esempio: fotoni, neutroni, pioni neutri, neutrini).
- Una particella può interagire principalmente in modo elettromagnetico (elettroni, fotoni, pioni neutri che decadono praticamente sempre in due fotoni), oppure adronico (come potete immaginare, gli adroni in generale: protoni, neutroni, pioni vari, ...). Che cosa esattamente voglia dire "interagire in modo elettromagnetico" o "in modo adronico" ve lo spiego meglio quando sarà necessario, per adesso consideratela come una divisione grossolana in famiglie con abitudini alimentari diverse, ok?
- Una particelle può interagire più o meno normalmente, oppure molto poco (muoni), oppure praticamente per niente (neutrini).
Come accennavo, nessuna particella ha una firma univoca: sarebbe troppo facile! Un elettrone è carico, e interagisce principalmente in modo elettromagnetico. Il fotone interagisce principalmente in modo elettromagnetico, ma è elettricamente neutro. Il neutrino è neutro come il fotone, ma non interagisce quasi per niente. Il muone interagisce molto poco (ma decisamente molto di più di un neutrino!), ed è elettricamente carico. Come è carico il pione (carico, ce n'è anche uno neutro), che però interagisce principalmente in modo adronico. Solo grazie alla combinazione di diverse firme lasciate in sezioni diverse del rivelatore possiamo azzardare l'identificazione di una particella, e una misura precisa delle sue caratteristiche.
Per esplorare la struttura di un rivelatore, vi propongo di seguire la sequenza di modi di interazione che ho elencato là sopra. Al prossimo giro, inizieremo dunque con le particelle cariche, e con come il fatto che siano cariche possa essere sfruttato per rivelarle e misurarle.
(Photo credits: CERN)
Nicola dice
Veramente interessante, aspetto con ansia la prossima puntata!!
Giorgio dice
Salve Marco,
come si da fa a sapere bene quali sono le particelle derivate da una particella instabile fra tutte le altre che ci sono?