Ogni tanto al CERN passa un personaggio famoso e interessante, grazie allo sforzo combinato dei responsabili della biblioteca del CERN (che, oltre a fornire un servizio bibliotecario idilliaco, fanno anche un sacco di iniziative interessanti che riguardano la comunicazione della scienza) e della divisione PH (che sta per PHysics) o IT (che sta per Information Technology), e tiene una lezione magistrale o un seminario. Negli ultimi hanno ho avuto la possibilità di vedere e sentire dal vivo personaggi del calibro di Stephen Hawking, Chen Ning Yang, Franck Wilczek, Gerard t'Hooft, Richard Stallmann o Mark Shuttleworth: semplicemente geniale!
Ieri passava da queste parti Lawrence Lessig, avvocato e professore ad Harvard, fondatore di Creative Commons e attivista per nuove e migliori forme di copyright. Lessig ha tenuto un seminario provocatoriamente intitolato "The architecture of access to scientific knowledge: just how badly we have messed this up", dove ha ripercorso le ragioni etiche che che stanno dietro alle licenze Creative Commons (una della quali questo blog usa per i suoi contenuti) e cercato in particolare di discutere perché sono importanti per la diffusioni della conoscenza scientifica. Se non avete mai visto una presentazione di Lessig, per prima cosa spendete 20 minuti di tempo per guardarvene una (metto qui sotto una di quelle famose a un evento TED): il suo stile è inimitabile, il suo uso delle slide molto particolare (mi ci sono ispirato parecchie volte, nella mia battaglia contro i bullet point, ma questa è un'altra storia). E il suo modo di spiegare perché l'attuale legislazione sul copyright è completamente inadeguata al modo odierno di diffondere, modificare e ridistribuire informazioni e prodotti più o meno artistici è veramente convincente. Tra l'altro, ha usato una buona parte di questa presentazione (alcuni dei video, per esempio) nel seminario di ieri.
La parte originale del seminario di ieri era dedicata alla questione del copyright nell'ambito specifico della diffusione della conoscenza scientifica. Ho preso qualche appunto sui concetti fondamentali, che mi sono sembrati importanti e illuminanti:
- Il copyright è stato pensato per proteggere gli interessi degli autori, non quelli degli editori e dei distributori. Nella pratica però sono solo questi ultimi (le case discografiche come gli editori di riviste scientifiche) ad approfittare della legislazione corrente sul copyright. Nel caso specifico dell'editoria scientifica, il costo elevato delle riviste non risulta di fatto in nessuna forma di guadagno per gli autori (gli scienziati), ma al limite finisce per sostenere le società scientifiche nazionale (l'APS, per esempio), o semplicemente gli editori.
- La conseguenza primaria di questo sistema è che l'accesso alla conoscenza scientifica è limitata a un'elite. L'accesso alle edizioni digitali degli articoli scientifici (per esempio via JSTOR) è estremamente costosa per chiunque non acceda dalla rete di un'istituzione che abbia stipulato un (carissimo) abbonamento. La maggior parte degli scienziati non se ne accorge perché scarica i suoi articoli dall'ufficio (università, CERN, etc), ma per tutti gli altri l'accesso semplicemente non è un'opzione (30 $ per 6 pagine di articolo?!?).
- Il movimento Open Access sta lavorando nella buona direzione. Gli articoli pubblicati su giornali che offrono OA sono veramente accessibili a tutti (anche alla mia mamma). Una cosa scioccante è stato vedere il confronto del costo per pagina di un articolo pubblicato su giornali che facciano riferimento ad una organizzazione profit (un editore tradizionale) o non-profit: Lessig giustamente invitava a notare che chiaramente lo scopo dei primi non è la diffusione della conoscenza scientifica, ma evidentemente il loro personale profitto. E che gli scienziati dovrebbero fare una scelta etica e pretendere di pubblicare solo presso i secondi.
- Archiviare e rendere disponibile non è abbastanza. Esperienze come CDS o arXiv sono eccellenti per ottenere un articolo aggratis, ma, a parte il fatto che si tratta di preprint e spesso la forma finale pubblicata è (un po' o molto) diversa, Lessig faceva notare come la semplice messa a disposizione (senza un'esplicita scelta di una licenza di distribuzione) non è abbastanza, perché non chiarifica esplicitamente che cosa un utente può fare con quelle informazione. La differenza tra i due scenari è quella che separa un utente fruitore passivo da un utente riutilizzatore, che può potenzialmente usare dati, risultati e procedure per produrre nuovi contenuti (in sostanza rimixare, declinato in ambito scientifico).
La cosa di cui da queste parti andiamo parecchio fieri è che il CERN è il quartier generale dell'iniziativa SOAP, e che l'Open Access è diventato lo standard di tutte le pubblicazioni di LHC. Questo vuol dire che ognuno degli ormai più di cento articoli con i risultati delle ricerche fatte con i dati di LHC sono stati tutti pubblicati su giornali che garantiscono una qualche forma di Open Access. Ovvero, tutti i risultati di LHC sono (e saranno) accessibili a chiunque (dall'accademico strutturato al semplice curioso) in modo completamente gratuito. È un buon inizio.
E voi, producete dei contenuti di qualche tipo? Dei testi in un blog? Delle foto su Flickr? Dei filmati su Vimeo? Con quale licenza li pubblicate sulla rete? Anche se il vostro sitarello ha 10 accessi al mese, pensateci: è molto più importante di quanto possa sembrare, è una scelta etica di chiarezza che può smuovere le cose molto più lontano del nostro semplice orticello.
IgorB dice
ma veramente possiamo recitare il contenuto delle tue pagine?
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/
Quasi quasi metto su un monologo teatrale con le passeggiate con Oliver... potrebbe uscirne qualcosa di interessante da presentare nelle scuole chissà...
Nel mio piccolo (blog con un centinaio di pagine lette a settimana) pubblico con una licenza CC.
Marco dice
Certo, è sempre stato scritto in fondo alla pagina. A patto che vi ricordiate di dire (recitare, cantare, scrivere, segnalare in modo chiaro) che le ho scritte io, che non tentiate di farci dei soldi, e non le modifichiate (che poi chissà che cosa mi fate dire) potete usarle a piacere. Se poi vi viene in mente un modo geniale per guadagnarci qualcosa, o per un uso particolare vi servirebbe modificarle, non avete che da contattarmi, e ci mettiamo d'accordo.
Enrico F dice
Bellissimo sunto del pensiero di Lessig, grazie mille - come sempre - per questa chicca di divulgazione. Sul discorso Open ho iniziato a lavorare 5 anni fa, e per 5 anni ho sentito convegni su convegni nelle università italiane in cui si ripetevano le stesse cose ma non ci si muoveva dal punto di partenza. Guardiamo a modelli di eccellenza (come il Cern) che però forse proprio in quanto eccellenza non sono emulabili. Non lo so. Diciamo che la direzione, segnalata in maniera abbastanza luminosa da questi esempi, è ben chiara e va seguita!
Scendendo su toni più prosaici, ti giuro che non vedo l'ora di leggere un tuo pezzo sulle presentazioni PowerPoint! Per conoscere il tuo pensiero, la tua tecnica, la tua esperienza. Sul disastro comunicativo che sta dietro a questo strumento ognuno di noi può raccontare aneddoti fenomenali, e sono ansioso di leggere i tuoi 😛
Frafra dice
Bello che qualcosa si muova 🙂 Personalmente uso la GPLv3 per tutto il codice che scrivo.
Ettore dice
Sperando di non " uscire fuori dal vaso " e concordando pienamente con quanto sopra scritto mi permetto di fare un piccolo appunto.
Personalmente credo che il discorso purtroppo non possa esaurirsi solo nel discorso della licenza... o meglio, per quanto riguarda gli "scritti" magari si, ma per il codice no (e quì penso alla brevettabilità del codice).
Ed anche per i paper bisognerebbe fare anche un'altro discorso, una volta che l'autore (in questo caso di pubblicazioni scientifiche) mette la licenza sul suo paper DOVE è possibile per lui pubblicare senza che gli rifiutino l'articolo a patto di togliere la licenza?
Marco dice
Sono d'accordo, per il codice sorgente il discorso è persino più articolato (ma in fondo le diverse versioni di GPL e simili hanno fatto per il codice quello Creative Commons tenta di fare per le opere "artistiche"). La questione dei brevetti poi è persino più complessa, perché il problema non si pone tanto per l'implementazione di un'idea (ovvero il codice specifico che la realizza, per esempio il movimento di un puntatore sullo schermo) ma per la brevettabilità dell'idea stessa (il movimento di un puntatore sullo schermo), che per quello che mi riguarda non dovrebbe essere permessa in nessun caso.
Quanto ai paper, oggi inizia veramente ad esserci possibilità di scegliere dove pubblicare in funzione anche della licenza. Il problema al limite è lavorare per un'evoluzione della mentalità degli accademici, che smettano di pensare che le "vecchie" riviste sono meglio solo perché tutti hanno sempre pubblicato li, e dunque continuino a pubblicare secondo il vecchio modello per paura di far perdere importanza al loro lavoro.
bob dice
Ritengo che portare "la scienza" alla gente comune (pur con tutte le difficoltà, incomprensioni, ecc) sia una delle sfide del millennio.
Io, nel mio piccolo, partecipo a vari progetti di ricerca basati sulla piattaforma di calcolo distribuito Boinc (c'è pure LHC@home).
Il tutto, come riporta il sito ufficiale: "Copyright © 2011 University of California. Permission is granted to copy, distribute and/or modify this document under the terms of the GNU Free Documentation License, Version 1.2 or any later version published by the Free Software Foundation. "
Gabriele Spadoni Bonaiuti dice
BuonaSera,premetto che di licenze d'uso e copyright non ci capisco un tubo e per questo motivo ho deciso di informarmi maggiormente visto che pubblico parecchie fotografie su qualche sito di sharing.Dove posso iniziare la mia formazione,con qualche spiegazione semplice ma esaustiva possibilmente in italiano?
Volevo inoltre capire dove posso essere reperite le pubblicazioni OA di lhc;personalmente non capisco come sia possibile e chi consenta di avere anche solo la possibilità di coprire con copyright i risultati delle ricerche effettuate su un acceleratore pagato dai contribuenti di molti stati.Com'è possibile? Sarebbe eticamente molto scorretto non trova? Così come trovo molto discutibile che i risultati degli esperimenti e le pubblicazioni vengano ritardati per dare modo alla rivista internazionale di turno di pubblicarla.(e la rivista non la regalano). Cordiali Saluti e Buon Lavoro.
Marco dice
Buongiorno Gabriele,
Forse puoi iniziare proprio da http://www.creativecommons.it/ , se invece leggi in inglese le risorse si sprecano.
Quanto alle pubblicazioni OA, le trovi sui siti dei giornali che le hanno pubblicate, ma a differenza delle pubblicazioni tradizionali le potrai scaricar anche se non sei collegato da un'istituzione con un abbonamento. Per esempio, tutta la documentazione più recente sull'acceleratore e gli esperimenti di LHC `´disponibile qui: http://www.iop.org/EJ/journal/-page=extra.lhc/jinst
Facciamo invece chiarezza sulla questione del copyright. Il problema nel caso delle pubblicazioni scientifiche non è tanto che qualcuno abbia i diritti sul contenuto dell'articolo: una volta pubblicato questo è pubblico e chiunque può, o meglio dovrebbe potere, leggerlo e utilizzarlo. Il problema è il copyright che la casa editrice che lo pubblica impone rispetto alla distribuzione dell'articolo: il modello tradizionale è molto restrittivo, e di fatto l'articolo rimane pubblicato solo sulla rivista, il cui abbonamento carissimo possono permettersi di pagare solo università e centri di ricerca. L'avvento della rete ha ovviamente modificato lo scenario: se ieri per leggere un articolo andavo in biblioteca all'università (che è comunque parte a tutti, e in ogni caso nessuno si sarebbe abbonato a tutte le riviste interessanti del settore anche se i prezzi non fossero stati proibitivi), oggi lo scarico in PDF dalla rete, e in questo caso il comune mortale che ieri poteva entrare in biblioteca oggi invece non lo può scaricare da casa (ok, potrebbe sempre andarlo a scaricare dalla biblioteca, ma non è questo il punto). La realtà è che l'avvento della rete ha mostrato come questo sistema di pubblicazione apparentemente neutro e aperto sia invece elitario e discriminante. Se poi sulla bilancia metti anche la possibilità di accesso a paese del terzo mondo, le cose peggiorano ancora, perché lì spesso nemmeno le università possono permettersi gli abbonamenti. L'OA dovrebbe permettere un'accessibilità gratuita a tutti, anche se ovviamente il problema di chi copre i costi di pubblicazioni (anche se molto inferiori) rimane: per ora sono le istituzioni che stanno dietro agli autori, ma la cosa è chiaramente potenzialmente problematica, questa volta dalla parte degli autori, per chi non appartiene a un'istituzione facoltosa.
davide dice
sempre cc-by-nc-nd 😀
Enrico F dice
Sull'Open Access una risorsa facile e completa anche per un primo approccio è il wiki di OpenArchives.it (http://wiki.openarchives.it/index.php/Pagina_principale), avviato da CASPUR e CILEA in seguito al progetto PLEIADI.
Segnalo anche una sfumatura che spesso sfugge a chi parla di queste cose: il termine "copyright" non è sinonimo di "tutti i diritti riservati", come spesso si crede, e quindi non è in contraddizione con le licenze Creative Commons. Non lo dico per correggere quanto viene detto qui sopra, che è anzi molto chiaro e pertinente, ma per evitare, specie nella mente dei meno esperti, che questi discorsi degenerino in un conflitto fra due estremi. Molto spesso questo accade, purtroppo, e ciò non fa bene bene alla comprensione delle diverse possibilità di pubblicazione di cui c'è bisogno. 🙂
Marco dice
Grazie per la precisazione, è importante.
Lo stesso Lessig l'altro giorno sottolineava come il termine "copy" in copyright oggi viene identificato con "copia", e dunque come copyright venga interpretato genericamente come "legislazione contro le copie". Ma quel "copy" è lo stesso di "copywriter" (che sta più o meno per "scrittore creativo"), nel senso descritto qui: http://en.wikipedia.org/wiki/Copy_%28written%29 e ovviamente poi esteso a altri ambiti oltre alla scrittura. Copyright significa dunque esplicitamente "diritto d'autore", e ovviamente quali siano questi diritti e come vadano regolati dipende da cosa l'autore (e non l'editore!) sceglie di fare del suo lavoro.
Riccardo dice
Ma quanto è luminoso LHC stasera!!!! Complimenti per il nuovo record!! 😉
Cla dice
ciao, sono leggermente off topic ma mi piacerebbe sapere la tua opinione.
hai scritto che hai avuto la possibilità si ascoltare stallman. anche io, un paio di mesi fa, ho ascoltato un suo seminario nella mia università. che ne pensi di ciò che dice? l'impressione che mi ha dato è che il suo essere così "talebano" possa in qualche modo limitare o spaventare i nuovi utenti del software libero.. esempio banale: lui è persino contrario a ubuntu...!
ciao, e scusami se ho divagato un po' dall'argomento del tuo post.
(e auguri di buona pasqua in anticipo)
Marco dice
Pur essendo un utilizzatore selvaggio di Emacs, anch'io nel tempo ho iniziato a pensare che Stallman a volti esageri. Non tanto perché sia estremista nella sua ricerca di libertà e apertura (ci va qualcuno che si mantenga puro) quanto per il fatto che all'interno di GNU lui stesso ha spesso un atteggiamento talmente adamantino rispetto al compromesso da diventare accentratore e persino dittatoriale (che peraltro a suo tempo ha condannato a stagnazione il progetto Hurd) che cozza un po' con certi principi di cui si fa portatore, e che gli toglie una certa lucidità di visione (a volte mi ricorda un po' quella sinistra che preferisce i fascisti al governo pur di sporcarsi le mani).
franco zoccheddu dice
scusate il fuori tema: mi sembra di capire che solo ora a Chicago hanno veramente perso la gara dopo aver venduto cara la pelle.
Tevatron è morto, viva lhc!
franco
Gabriele Spadoni Bonaiuti dice
Grazie per la risposta,ma ho notato ora di aver impostato male la domanda,che voleva essere più o meno : Perchè un ricercatore pubblica su riviste private,ritardando così l'uscita delle stesse e comunque costringendo il singolo cittadino interessato ad acquistare la rivista? esempio Nature o Sientific american etc etc?. Poi mi è parso di capire che esistono addirittua altre riviste molto più costose di quelle sopra citate che solo enti danarosi possono permettersi.Quindi in passato se uno voleva documentarsi poteva andare di nascoso in università oppure sperare che una rivista a buon mercato la pubblicasse.Ma che razza di sistema è questo? Scusi la mia indignazione.
Ettore dice
@Gabriele
Il motivo è semplice, perchè quelle riviste godono di " credito " in ambito scientifico per cui, se qualcuno vuole che il suo lavoro venga apprezzato, cerca di pubblicare su quelle riviste...
Avere un articolo pubblicato su Nature (per esempio) fa più curriculum...
Marco dice
Vero, ma Gabriele tocca un punto importante: la qualità di una rivista è completamente legata alla qualità di quello che gli autori pubblicano. Il punto è riuscire a fare delle riviste Open Access delle riviste a alto impatto. In questo senso, solo larghe collaborazioni come quello di LHC hanno il peso per imporre ai giornali l'Open Access (cosa che stiamo facendo) e in questo senso hanno la responsabilità etica di spostare il centro di gravità dell'editoria sciantifica.