E se... il 25% dei finanziamenti agli atenei e ai dipartimenti fosse assegnato in base alla qualità della ricerca effettuata nei 3 anni precedenti? E se lo stesso criterio si applicasse agli stipendi di ricercatori e professori?
- Si parla molto di penuria di fondi per la ricerca in Italia. Non metto in dubbio che la scarsità dei finanziamenti sia un problema reale, ma non penso che sia il problema principale: il nodo primario è che questi fondi vengono di fatto distribuiti in modo indifferenziato a università e dipartimenti. A prescindere dalla quantità totale dei fondi a disposizione, non c'è nessuna reale competizione per assicurarseli: un ateneo con dipartimenti eccellenti che abbiamo un'ottima produzione scientifica riceve potenzialmente gli stessi fondi di un dipartimento mediocre della stessa taglia.
- La stesso problema si ripresenta nelle retribuzioni. L'entità dei salari di ricercatori e professori è esclusivamente determinata dall'anzianità di servizio. Non esiste nessun meccanismo di differenziazione che premi l'eccellenza, l'impegno e la responsabilità, e che penalizzi la pigrizia.
- Soltanto in un sistema in cui esista una reale competizione per i fondi a livello di atenei e dipartimenti diventa possibile liberalizzare le assunzioni e abolire i concorsi: se assumo il nipote del rettore per fargli un favore, ma questo signore è un fannullone incompetente, negli anni successivi mi ritroverò a non poter assumere più nessuno (o a non poter comprare materiale, o a non poter andare a conferenze, o...), perché non ne avrò la possibilità finanziaria. E il mio stipendio, come quello quello del nipotino, ne subiranno allo stesso modo le conseguenze.
- 25% è ovviamente un'approssimazione. Potrebbe essere il 30% e andrebbe bene lo stesso. Il punto è che si deve trattare di una percentuale consistente. Attualmente meno del 2% dei fondi sono distribuiti in base ai risultati ottenuti nell'attività di ricerca: decisamente una percentuale trascurabile, che non può certo incentivare nessuno sforzo verso un miglioramento e l'eccellenza, o scoraggiare nepotismo, pigrizia o cattive scelte. Anche il periodo di 3 anni è indicativo: magari vanno meglio 2, magari 4, possiamo discuterne. Il nocciolo rimane lo stesso: fondi e retribuzioni devono dipendere in modo sensibile da quanto fatto nel periodo precedente.
- La ricerca deve essere il criterio principale nella valutazione della distribuzione dei fondi. Certo, le università fanno anche (e spesso soprattutto) didattica, e anche questa va valutata, e premiata e incentivata nella sua eccellenza. Ma credo che la didattica debba rimanere un criterio vassallo alla ricerca: un dipartimento in cui si faccia ricerca di prim'ordine, con ricercatori e professori attivi su progetti all'avanguardia nella loro disciplina, sarà sempre un ambiente stimolante per gli studenti. Un dipartimento con ottimi pedagoghi che non fanno (più, mai) ricerca non può garantire lo stesso ambiente. In più, una distribuzione di fondi legata alla sola didattica tenderebbe a stimolare la nascita atenei dedicati esclusivamente all'insegnamento, fenomeno potenzialmente pericoloso per la qualità e l'aggiornamento della didattica stessa.
- Manco a dirlo, qui si apre un punto fondamentale: come si valuta la qualità della ricerca di un ateneo? E di un dipartimento? E di un singolo ricercatore? E chi è incaricato di valutarla? Di questo discuteremo in una prossima puntata. Ma possiamo già dire che la valutazione di ricercatori e professori rimane un affare interno al dipartimento: come per le assunzioni, il dipartimento dovrebbe avere la libertà di differenziare i salari in base insindacabili criteri interni. Criteri che, se l'entità dei fondi del dipartimento fosse sostanzialmente legata all'attività di ricerca, alla fine non potrebbero che essere anch'essi correlati al contributo del ricercatore o del professore a questa attività.
- Non vi sarà sfuggito il fatto che non ho mai nominato il termine "Facoltà". Le Facoltà sono raggruppamenti di Dipartimenti: sono enti molto eterogenei, e spesso responsabili di organizzazione farraginosa e burocratica. Probabilmente andrebbero abolite, ma di questo magari riparleremo altrove.
- Per finire, due parole sull'attuale Quota di Riequilibrio. Circa il 70% dei fondi delle università viene da quello che si chiama Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). Una parte del FFO viene assegnata secondo la cosiddetta Quota di Riequilibrio (QR), che mira a attribuisce una frazione dei fondi pubblici in base al numero di full time students e al costo standard per studente, basandosi sul discutibile principio che le Università che offrono servizi migliori vengano frequentate da più studenti. Il che è palesemente falso: il meccanismo della QR di fatto incentiva l'abbassamento degli standard formativi - faccio corsi ed esami più facili, promuovo e laureo più studenti, più studenti di iscrivono, prendo più fondi. Bella storia, bravi tutti. Per approfondire questo punto, consiglierei di iniziare dal forum degli Innovatori Europei.
Leggi le altre puntate:
Antonio dice
Ciao Marco,
come nell'altro post anche su questo mi trovi perfettamente d'accordo. Chiacchierando con colleghi ricercatori e amici, ho notato che nella "base" della ricerca in Italia (e intendo come base giovani ricercatori in Italia e all'estero, laureandi, dottorandi etc...) ci sia un sostanziale accordo su come risolvere il problema della ricerca scientifica in Italia ed il modo è più o meno quello che dici tu. Certo possono esserci piccole variazioni sul tema, ma la sostanza rimane quella: Soldi quando e se li meriti, abolizione del concorso pubblico, assunzione diretta e diretta responsabilità per chi ti assume, incentivi per chi è più bravo e dulcis in fundo valutazione indipendente della ricerca (aspetto il tuo terzo contributo riguardo a questo tema).
Mi chiedo se fosse possibile elevare un pò questo discorso e farne una sorta di manifesto per la ricerca in Italia, coinvolgendo anche colleghi che lavorano in altri campi di ricerca.
continua così! ciao e salutami i miei colleghi di CLIC che non rispondono alle mail 😉
delo dice
Ciao.
molte idee interessanti.
Sembra che il problema e' che in fondo tutte le universita'(ente/dip) siano uguali e quindi bisogna trovare un modo per dire qual e' migliore di un altra. E qui ritorna sempre come uno spettro il tema dell'abolizione del valore legale del titolo di studio...
ciao
Nas dice
Ciao,buone idee ma mi vengono in mente 2 appunti ,secondo quanto scritto si dovrebbe valutare come criterio determinante per la distribuzione monetaria la ricerca ma le università che sviluppano conoscenze di altro tipo e non fanno ricerca come lettere,filosofia,teologia ecc? a queste non andrebbe uno spicciolo .Il secondo e che la distribuzione delle "ricchezze" agli atenei facoltosi crerebbe facoltà di serie A e serie B (anche se sono pienamente daccordo sul premiare le facoltà che meritano) e quest'ultime ricevendo meno soldi avrebbero anche meno soldi da investire in ricerca per equipararsi con le università "meritevoli" inoltre causerebbe una migrazione degli studenti verso le sedi eccelse di istruzione causando a mio parere una spirale senza fine...
ciao.
Xisy dice
@Nas
guarda che anche in campo umanistico si fa ricerca di alto livello (e neanche trascurabile, in Italia) e anche quella può (e deve) essere valutata.
La valutazione più problematica è invece quella della qualità della didattica, anche perché i criteri di valutazione finora proposti (es fattore produttività, numero iscrizioni ai corsi, età medie dei laureati etc) non sempre riflettono efficienza didattica e sembrano tutt'altro che un incentivo alla qualità.
Il discorso degli atenei di serie A e B non piace neanche a me, ma dato che di fatto queste differenziazioni già esistono (e bisogna ammettere che hanno la loro colpa anche nelle cattive gestioni degli atenei stessi) un sistema serio di distribuzione dei finanziamenti potrebbe essere un grande incentivo all'eccellenza per tutti.
Ricordo comunque che ridistribuire è necessario ma non è sufficiente: complessivamente l'Italia investe in ricerca una quota del Pil ridicola rispetto alla media europea e agli obiettivi di Lisbona.
Occorre investire di più, altrimenti non si va da nessuna parte.
Xisy dice
@Nas
guarda che anche in campo umanistico si fa ricerca di alto livello (e neanche trascurabile, in Italia) e anche quella può (e deve) essere valutata.
La valutazione più problematica è invece quella della qualità della didattica, anche perché i criteri di valutazione finora proposti (es fattore produttività, numero iscrizioni ai corsi, età medie dei laureati etc) non sempre riflettono efficienza didattica e sembrano tutt'altro che un incentivo alla qualità.
Il discorso degli atenei di serie A e B non piace neanche a me, ma dato che di fatto queste differenziazioni già esistono (e bisogna ammettere che hanno la loro colpa anche nelle cattive gestioni degli atenei stessi) un sistema serio di distribuzione dei finanziamenti potrebbe essere un grande incentivo all'eccellenza per tutti.
Ricordo comunque che ridistribuire è necessario ma non sufficiente: complessivamente l'Italia investe in ricerca una quota del Pil ridicola rispetto alla media europea e agli obiettivi di Lisbona.
Occorre investire di più, altrimenti non si va da nessuna parte.
Nas dice
@xisy
Forse parto prevenuto ma a me pare che alcune facoltà non facciano ricerca o sia limitata (ok in effetti probabilmente teologia e lettere o in generale alcune fac.umanistiche fanno ricerca)ma giurisprudenza?scienze politiche? e in che modo valutare la ricerca in ambito umanitario?come fai a dire che la ricerca di una facoltà di matematica ,fisica o ingenieria sia migliore/peggiore di una umanistica ,sono estremamente diverse ,penso che la ricerca non possa essere l'unico criterio in quanto non universale o comune per tutte le facoltà, penso( forse a torto) che in uan facolta come biotecnlogie o in genere dove si studiano le energie abbia molte più possibilità di creare ricerca che non una umanitaria quindi il SOLO fattore ricerca sfavorirebbe università di altro tipo oltre quelle scientifiche.
Mat dice
Questo "What If..." mi piace ancor più dell'altro...
Mi permetto però un piccolo appunto: conosco (dall'interno) un'università scientifica italiana dove le Facoltà non sono dei raggruppamenti di Dipartimenti. Molte Facoltà hanno il loro dipartimento, molti Dipartimenti offrono i loro servizi (e la loro ricerca) a Facoltà diverse. Mi sembra più corretto (ma magari funziona così solo da noi) dire che le Facoltà si occupano della didattica e che i Dipartimenti si occupano di ricerca. Anche se ovviamente non è tutto così semplice (i ricercatori che fanno didattica, i fondi assegnati alle Facoltà che vengono usati per pagare assegni di ricerca, laboratori dipartimentali nati per la didattica ma nei quali si fa anche ricerca...)
Anna dice
Ricerca in campo umanistico si fa, eccome. Purtroppo ho conoscenze dirette di ricercatori in campo umanistico solo all'estero, ma non dubito vi siano buone prassi anche qui da noi.
E' un vero peccato, però, assistere a una fuga all'estero anche per questo tipo di attività: un amico, storico dell'architettura, sta aspettando risposte da numerosi centri esteri dove ha fatto domanda.
Specializzato in Storia del Rinascimento, non ha speranze in Italia e si affaccia al Regno Unito e agli Stati Uniti.
C'è qualcosa che non torna... o no?
Non conosco così bene l'ambito universitario da azzardare commenti allo scritto di Marco, mi limito a osservare che anche in didattica la ricerca esiste, alcuni Atenei Italiani portano avanti progetti interessanti (Udine, Roma, Palermo, Milano ci prova...), ma se si rimane confinati a casa propria la situazione è desolante e ciò che viene messo in atto si riconduce a faticosi carrozzoni ministeriali, che poi incidono poco (o niente) sul quotidiano di insegnanti e professori. Per non parlare della valutazione e dell'incentivo a fare meglio, che proprio non esiste.
E' interessante discuterne in un blog e Marco propone spunti interessanti. C'è un luogo decisionale che raccoglie idee e suggerimenti? Dove avrebbe senso far arrivare le osservazioni fatte perché non restino un esercizio intellettuale?
Buona domenica,
Anna
Calabi dice
Per Nas:
In teologia si fa ricerca? Interessante. Quali sono gli ultimi risultati più significativi in questa branca del sapere? E nei dipartimenti di astrologia cosa succede invece?
Xisy dice
Ma allora dimmi, Calabi, quali sono gli ultimi risultati italiani più significativi in fisica, matematica o astronomia?
Nas dice
@calabi
Premetto che di materie letterarie e in particolare di teologia me ne intendo veramente poco, però ho notato che esiste una società italiana di ricerca teoogica con tanto di pubblicazioni per quello ho rettificato il post precedente,comunque sembra che sia stato travisato il mio commento,il mio discorso era appunto l'enorme,a mio parere, divario tra le ricerche in campo scientifico e umanitario,che non permetterebbe di usare come criterio di base e universale per la divisioni dei fondi per le università la ricerca,anche alla luce del fatto che le università sono corpi molto spesso eterogenei, se poi non è cosi è anche nelle università umanistiche esiste ricerca al pari di quelle scientifiche meglio per tutti
Calabi dice
Per Xisy: dalla tua domanda si evince come sia totalmente inutile parlarti dei risultati significativi in fisica, matematica o astronomia. Hint: la parola chiave nella mia domanda è "risultati" non "significativi".
Per Nas: il tuo discorso è in buona parte condivisibile. Noto inoltre che hai accostato la teologia alle materie letterarie e questo lo ritengo corretto, visto che la teologia può essere vista come un ramo della letteratura fantastica.
Xisy dice
@Calabi
Come da me previsto, non hai risposto alla mia domanda. Diciamo pure che la risposta non lo sai, non c'è niente di male. E diciamo anche che comunque, questi risultati scientifici, anche se non li conosci, esistono. Perché esistono.
Ma allora la cosa vale anche in campo filosofico, no? Cosa ti fa pensare che la tua assenza di informazioni in campo di ricerca filosofica non sia dovuta a ignoranza *tua* piuttosto che a improduttività *loro*?
Calabi dice
Per Xisy: Primo: chi ha posto la domanda sulla "ricerca teologica" (che è un grazioso ossimoro)? Hai risposto con un ulteriore domanda dimostrando di non aver colto il punto. Ribadisco: teologia. Ulteriore hint (quotando un altra mia risposta): "...la teologia può essere vista come un ramo della letteratura fantastica.". Dove ho parlato di ricerca in ambito filosofico (ma tu saprai mostrarmi dipartimenti in università non convenzionali dove si fa ricerca teologica...)? E poi mi accusi di non conoscere risultati scientifici di rilievo italiani nei campi da te elencati, perché non ho risposto ad una domanda non pertinente al discorso? Prima di continuare la conversazione sarebbe meglio capire qual'è il tuo background scientifico?
Calabi dice
errata corrige: università non convenzionali --> università non confessionali
Xisy dice
Un po' assiomatico, il tuo punto.
Non serve che tu ne abbia parlato: ne parlava Nas, e tu rispondevi a lui.
Se ora te ne esci con un concetto di ricerca teologica ("inventare favole") diverso da quello di Nas non serve a molto per la discussione. Hai esordito rispondendo a Nas, e Nas non si riferiva a *quel* tipo di ricerca teologica che dici tu (che esiste, certo) ma a un ambito di ricerca letteraria e storiografica orientato tra filosofia morale, etica e antropologia delle religioni. Ricerca che viene svolta nei dipartimenti di filosofia delle università.
Non ti ho accusato. Ti ho fatto una domanda e tu non hai risposto.
Non ce n'è nessun bisogno, invece.
Calabi dice
Per Xisy: Interessante: io rivolgo una domanda a Nas e dovrei sapere in anticipo che "...Nas non si riferiva a *quel* tipo di ricerca teologica che dici tu". La domanda che hai posto "Ma allora dimmi, Calabi, quali sono gli ultimi risultati italiani più significativi in fisica, matematica o astronomia?" è talmente "broad" da richiedere perlomeno una calibrazione sul background dell'interlocutore. Ne convieni?
Xisy dice
Se entri in una discussione e un certo termine è stato già usato con una particolare accezione, sì, dovresti fare riferimento a quel significato.
Oppure puoi usarlo per intendere altro, basta che specifichi.
Oppure non lo fai, non specifichi; ma allora non puoi aspettarti che di default tutti comprendano.
Infatti ho capito che tu sostenessi che le università non producono ricerca in ambito di teologia (che è invece diffusa quanto la ricerca letteraria) quando presumo tu volessi dire che non spetta all'università la produzione originale di verità teologiche (che è ovvio).
Cioè fa pensare che tu ignori che l'università possa occuparsi di teologia (cosa che fa) per il solo fatto che non sei a conoscenza di risultati significativi in queste aree di ricerca. E ignorarli non è una colpa, bada bene, dato che puoi altrettanto facilmente ignorare i risultati italiani in campo scientifico ma riconoscerne comunque la loro importanza.
No, non vedo perché.
Calabi dice
Riconosco che il mio primo intervento era piuttosto provocatorio, specie in un blog nel quale non ero mai intervenuto prima.
Appuro che almeno hai inteso correttamente il mio intervento riguardo alle facoltà di teologia ti chiedo gentilmente, riferendosi a questa sola discussione il quoting di Nas da cui si evince che il termine teologia è usato nell'accezione che tu dici?
Tornando al merito del discorso posso chiederti di illustrare quali siano i risultati significativi in ambito teologico (nella tua accezione stavolta) italiani? Ora facendo questa domanda ti spiego anche la mia richiesta di renderla meno "broad". Prima di tutto per riconoscerne la significatività dobbiamo definire una sorta di livello di significatività. Questo perché, se lavori in quel campo di ricerca avrai, chiamiamola così, una percezione naturale del valore di quel particolare risultato di una ricerca. Ma questo comporta che tale risultato sia già cristallizato e condiviso da una certa comunità di ricerca? In generale no, ma allora chi non appartiene a quell'area di ricerca dovrà necessariamente far riferimento a qualche esperto di quell'area per poter apprezzare il risultato stesso. Ora mi pare di capire che tu sia al corrente dei risultati in "...un ambito di ricerca letteraria e storiografica orientato tra filosofia morale, etica e antropologia delle religioni.". In questo contesto provo a girarti la domanda e ti chiedo almeno uno di questi risultati e perché tu lo ritenga significativo. E sopratutto quale sia questo "livello di significatività". Questo in ultima analisi dipende dal tuo, oltreché dal mio, background per apprezzare la risposta.
Nicola dice
Dici: "Non metto in dubbio che la scarsità dei finanziamenti sia un problema reale, ma non penso che sia il problema principale."
Dissento. Si è arrivati ad un livello tale che, secondo me, è purtroppo il problema principale. Perché blocca anche i pochi casi di best-practice. E avvantaggia chi è in grado di reperire fondi in maniera, chiamiamola così, creativa. In maniera esplicita: chi riesce a navigare nell'attuale situazione non è il fisico con risultati internazionali di rilievo e magari anche qualche amico che lavora in ditte che gli prendono gli studenti in stage, ma l'amico del rettore che sta nella stessa loggia massonica della Fondazione Cassa di Risparmio.
(l'esempio non è fato a caso; nella mia università l'unica fonte di cofinanziamento degli assegni di ricerca è stata la locale Cassa di Risparmio; è stato quindi di fatto il consiglio di amministrazione della fondazione - dalle altissime competenze scientifiche - a decidere quali assegni finanziare).
Intendo dire che la situazione è così grave da aver consegnato il potere accademico per intero agli ammanicati con i poteri forti. Se ci fossero almeno un po' più fondi qualche briciola ne arriverebbe anche più giù e ridarebbe un po' di capacità di influenzare le scelte anche alle persone che si occupano in primis di ricerca.
Nicola dice
P.S. credo che sarebbe bene tener distinti i fondi per la ricerca propriamente detti (PRIN, fondi di ricerca d'ateneo, FIRB ecc.) che già oggi NON sono distribuiti a pioggia, dai fondi per il funzionamento delle università.
Già oggi se io entro in un PRIN che viene cofinanziato dal Ministero al mio dipartimento entrano dei soldi in più, perchè può applicare una ritenuta (di solito circa il 3%) sul fondo PRIN. Quindi se io sono il capo di un gruppo di ricerca su "La letteratura ottomana in rapporto alle ere geologiche" che viene considerato degno di finanziamento, al mio dipartimento arriva qualche soldino in più. Però questo non riesce ad incidere sugli equilibri locali. Come ho detto ci riesce più il prof. che non fa ricerca da anni ma ha messo in piedi dei corsi accreditati con la Regione, grazie alle sue amicizie politiche, che portano ben più soldi.
Il meccanismo che passa solo attraverso i soldi ha, insomma, i suoi rischi.
Nicola dice
P.S.2 Sulla diatriba Calabi-Xisy
a) la teologia non è settore di ricerca finanziato dallo stato, non esistono cattedre pubbliche di teologia, lauree in teologia nè finanziamenti per gruppi di ricerca in teologia.
b) la ricerca in campo umanistico esiste e si valuta. Proprio sul sito del PRIN (Progetti di rilevante interesse nazionale) prin.miur.it potete trovare l'elenco dei progetti di ricerca finanziati nelle aree umanistiche. Quelli del 2007 sono pure posti in graduatoria e potete divertirvi a constatare che
"Voci per un dizionario critico del genere poliziesco francofono" è un progetto finanziato e ritenuto più interessante di "Le radici europee e indigene delle tradizioni popolari ibero-americane".
Non vedo cosa ci sia di strano.
claudio b. dice
Hi,
nella stessa linea del What If #1, al post #4 Xisy coglie subito, secondo me, un punto importantissimo:
nell'articolo di apertura, si legge:
"un dipartimento in cui si faccia ricerca di prim’ordine, con ricercatori e professori attivi su progetti all’avanguardia nella loro disciplina, sarà sempre un ambiente stimolante per gli studenti."
Purtroppo questo non è vero nemmeno lontanamente, ho sulle spalle, come tanti colleghi e amici, sfilze di esempi di professori-ricercatori ferratissimi nelle loro materie e produttori di letteratura eccellente e abbondante e riconosciuta internazionalmente, ma assolutamente incapaci di insegnare alcunché ai loro poveri studenti. Due degli esempi che ho in mente sono anche stati commissariati dalle due alle... sei (sì, sei... nel privato un tizio simile sarebbe stato rimosso dall'incarico...) volte proprio per carenze didattiche.
Il fatto è che, o ci si limita a parlare di Ricercatori, e allora il discorso di Marco è applicabile al 100%, o si parla ANCHE di didattica, e lì mi dispiace ma bisogna inventarsi qualcos'altro in aggiunta.
Una nota a margine: condivido la questione del 25%, ma obiettivamente è tantino per poter essere accettato sindacalmente... Dove lavoro io (privato, privatissimo), la somma dei premi produzione individuale e aziendale pesa per circa l'11% sullo stipendio annuo di un dipendente, e sappiamo essere "on the high side"... Tuttavia, c'è da considerare la questione del "rischio lavorativo", nel senso che in caso di "cavolata" da parte mia vengo licenziato, mentre un dipendente pubblico no.
Il che mi porta a considerare che, piuttosto, bisognerebbe rimuovere questa clausola di inamovibilità. Col sorgere del conseguente problema "quis custodiet custodies?".
Bye
claudio b. dice
@ Anna e Antonio:
sì, forse la possibilità per "istituzionalizzare" osservazioni e commenti c'è: è l'iniziativa sponsorizzata da MTV "Tocca a Te".
Bye
Marco dice
@Nas: ti hanno già risposto in parecchi, lo faccio anch'io: si fa ricerca anche nelle discipline umanistiche, eccome. E i criteri per valutarne la qualità non sono diversi da quelli che dovrebbero utilizzarsi per le scienze dure. Troveremo lo spazio per parlarne, ma, giusto per capirci, sicuramente lo si fa non tanto contando i brevetti, ma piuttosto attraverso un serio processo di peer-reviewing.
@Mat: in effetti la situazione di un Politecnico (ehi, non sto tirando a caso, Mat lo conosco di persona) è probabilmente un po' particolare, nel senso che si tratta di una facoltà potenzialmente più organica che, per dire, Lettere e Filosofia. In ogni caso sollevi un punto probabilmente condivisibile: i fondi per la didattica andrebbero distribuiti alle Facoltà che le organizzano, quelli per la ricerca direttamente ai dipartimenti (cosa che attualmente non succede). Il che riapre la questine della valutazione della didattica, che è una bella gatta da pelare, e di chi tra didattica e ricerca debba fare da padrone nelle università. Costituzionalmente propendo per la seconda, ma il mondo non è mai tutto bianco o nero.
@Xisy, Calabi et al: i flame non portano da nessuna parte, siete grandi e dovreste ormai saperlo, per cui piantatela. Calabi, perchè ti impunti sulla teologia? Non esistono (a che ne so, ma ovviamente potrei sbagliarmi) facoltà di teologia in università statali italiane, ed è di queste che stiamo parlando. Esistono studiosi di alcune forme di teologia nei dipartimenti di storia o filosofia delle università statali, studiosi che sono appunto inquadrati come storici o filosofi. A proposito, l'astrologia non è una disciplina scientifica.
@Nicola: ripeto, lo so bene che i fondi scarseggiano. Ma l'idea che aumentandoli senza cambiare il sistema di distribuzione qualcosa sfuggirebbe dalle mani dei poteri forti che se li accaparrano tutti mi sembra nella migliore delle ipotesi rinunciataria. Nel sistema attuale (che descrivi, che conosco) è chiaro che chi ha una tessera di una loggia o qualcosa di simile vive di rendita, e gli altri annaspano. Ma il punto rimane: qualcuno verifica mai la qualità della produzione scientifica - e il suo equilibrio attraverso le discipline - degli assegnisti di ricerca co-finanziati dalla Cassa di Risparmio in questione? Se il potere decisionale resta in mano a chi emette e gestisce i fondi, e non è invece delegato a un sistema di verifica e controllo indipendente (e anonimo), non ci muoveremo mai dalla situazione attuale, dove chi detiene il maggior potere politico avanza.
@Claudio: Io continuo a credere che la ricerca debba rimanere criterio privilegiato rispetto alla didattica, ma sono d'accordo, i fondi (e i criteri di ripartizione, e quelli di valutazione) andrebbero distinti. Non sono espertissimo di valutazione della didattica, magari Anna ci aiuterà un po' a divergere la questione. Quanto al 25%, probabilmente è una quota un po' alta se parliamo di salari, ma resta ragionevole se parliamo del rapporto tra fondi di funzionamento e fondi di ricerca (che a oggi sta, come dicevo, intorno al ridicolo 2%). MTV è una battuta, vero?
@Antonio e Anna: ecco il punto debole della questione: anche se sembrerebbe esserci in ambito accademico un certo consenso sulle riforme possibili (ma è poi vero? Che i "poteri forti" citati da Nicola mica si fanno sentire), come fare a concretizzare queste discussioni in un'azione politica concreta? Obiettivamente, non lo so. Negli ultimi mesi ho firmato petizioni, mandato foto da far calpestare, finanziato movimenti e circoli, partecipato a forum, scritto e fatto circolare idee, letto una marea di cose. L'impressione finale è che manchi, accanto alla nutrita parte che produce e alimenta la riflessione, la controparti politica che la dovrebbe concretizzarla in proposta fattiva. Chi può (e vuole) essere referente politico per queste istanze?
Godel dice
Provocatoriamente... Un bel post che ho letto da qualche parte, "La cooperazione è superiore alla competizione", sembra andare un po' contro a quanto proposto qui. Cosa ne pensi? Non è facile prevedere che la "meritocrazia" porterebbe ad una guerra fra poveri per il doblone? La mia cooperazione con un altro ricercatore potrebbe danneggiarmi? Ma solo se è italiano?
Inoltre! Come evitare che la corsa al sapere diventi una corsa ai fondi? dove non viene premiata la qualità ma la produttività (concetti non sempre corrispondono)?
Per finire.. è lecito/sano/utile pensare di valutare la ricerca con criteri non dissimili dai criteri usati nel privato? Sarebbe mai nato LHC con criteri del genere?
claudio b. dice
MTV: no, non era una battuta, o meglio non del tutto. La parte di "Tocca a Te" che viene trasmessa come spots edificanti sulla Costituzione, sulle forme di Democrazia eccetera, è di una banalità sconsolante (epperò... chissà, propendo a credere che a parecchi ragazzi anche questi concetti suonino nuovi o quasi...). Mi riferivo invece al meccanismo mediante il quale, costituendo una specie di "gruppo di lavoro" (una scuola, ma anche un raggruppamento virtuale da quanto ho capito) puoi arrivare a sottoporre una proposta di Legge che verrà poi presentata in Aula.
Più di preciso non so, quindi se già sai che è una bufala dimmelo che ritiro tutto mortificato ! 🙂
@ Godel:
la corsa al sapere si abbassa ad una corsa ai fondi, nel senso più becero della frase, se chi "corre" sa che i fondi sono elargiti in modo completamente avulso dal "sapere", appunto, che è ciò che sta dicendo Marco.
Un peer-reviewing attento (magari condito con altri accorgimenti) mira proprio ad evitare questo, facendo in modo che le "scarpe buone" vengano date proprio a chi dimostra di volere e sapere "correre" verso il Sapere "migliore" (OK, il giro di parole è infelice, ma vado di fretta...).
E i meccanismi di valutazione dei progetti scientifici ben poco hanno a che vedere col funzionamento di una Ditta produttiva. Infatti, LHC è nato sul serio. Ciò che si vorrebbe, è che i criteri usati per "decidere" LHC venissero usati, in Italia, anche per i finanziamenti alla ricerca dei Dipartimenti, e non invece criteri di puro baronaggio o connivenze (c'è una certa Cassa di Risparmio lì che...).
Ciao!
Marco dice
Eh eh eh, Godel, vada per la provocazione! Cosa vuoi che ti risponda?
La mia idea (direi la mia speranza) è che l'introduzione di criteri meritocratici forzi l'adozione di comportamenti virtuosi (le best practise che qualcuno citava), che costruiscano nel tempo una cultura meritocratica in quegli ambienti universitari dove manca. Non mi sembra affatto che la cosa cozzi contro una coltura di collaborazione, di apertura e di scambio. La guerra tra i poveri di fatto già esiste adesso, solo che si combatte quasi esclusivamente sul piano del potere politico e delle sfere di influenza (pensa all'accaparrarsi dei fondi per bandire assegni di ricerca).
Chi ha parlato di premiare la produttività? E' ovvio che è la qualità a dover essere misurata. Al prossimo giro tireremo in ballo la valutazione della ricerca, gli indicatori bibliografici e il peer-reviewing: nessun criterio è perfetto, ma ci sono modi per distinguere tra una masse di pubblicazioni inutili e un solo solo lavoro di qualità. Modi che implicano l'uso di un insieme di strumenti, perché nessuno da solo da la risposta giusta.
Se credessi che la ricerca fosse da valutare in base criteri di utilità simili a quelli del privato (applicabilità commerciale, successo economico) non avrei scritto quello che ho scritto: c'è una bella differenza tra dire che occorre valutare e sostenere che questo significa sottostare alle leggi del mercato. Appiattire il discorso su questo livello mi sembra un po' una scusa.
Parentesi LHC: l'INFN, l'ente italiano che lo finanzia in ogni sua forma (direttamente al CERN, e tramite le sue sezioni) ha dei sistemi di referaggio interni per verificare che i fondi assegnati alla varie sezioni, per esempio per lavorare su un pezzo di LHC, siano stati utilizzati correttamente, e che le varie richieste per gli anni successivi siano sensate, e supportate da risultati e progetti di sviluppo adeguati. E l'INFN non manca certo di chiedere conto al CERN di come vengono spesi i suoi soldi. Il sistema è tutt'altro che perfetto, ma perlomeno esiste. Il punto rimane lo stesso: la verifica dei risultati relativi a un investimento non esclude che l'investimento sia per un progetto di ricerca "inutile". Anzi.
nicola dice
@Marco Credo che siamo d'accordo. Però volevo porre l'accento sul fatto che in qs. momento in Italia nessuno sta aumentando i fondi per la ricerca. Li hanno diminuiti. A tutti (chi più, chi forse meno). E che già oggi questa diminuzione ha tolto potere ad alcune delle persone che lavorano ma non sono ammanicate ed aumentato il potere degli ammannicati. Questo è uno degli effetti in corso della finanziaria 2008 che prevede costanti e consistenti tagli fino al 2013. I tagli ci hanno dato una spinta nella direzione sbagliata, questo intendevo dire.
Pensa ad un azienda in crisi ed applicagli questa politica: tengo tutto il management e taglio le linee di credito. E' quello che è appena successo.
Ma sono sostanzialmente d'accordo ed aspetto il quid: come si valuta in maniera efficace?
Godel dice
In effetti ho detto troppe cose in una volta facendo confusione.
Avevo due concetti in mente, essenzialmente disgiunti.
1. Non è facile trovare il giusto bilanciamento. I due tuoi post "contrapposti" che ti citavo, erano solo un esempio (esagerato) per "dimostrare" (questa parola andrebbe usata con i piedi di piombo) questo assunto. Tutto li. (ogni tanto sono poco lineare nei ragionamenti)
2. La questione della valutazione in base all'utilità (ma non ho usato questo termine? cmq, ci siamo capiti) non era riferito a quello che dici tu, ma in generale allo spirito che si sente (anche in alcuni commenti, specie nel precedento post della serie) al di fuori del mondo accademico (col quale ci si deve confrontare). Ed essendo che questo mondo, diciamo, guida il mondo politico, che poi alla fine prenderà le decisioni, bhe... volevo solo dire "su co le rece", come si dice da me.
Poi, per quanto riguarda gli strumenti.. ne parliamo al prossimo post (ho precorso i tempi del blog, andando un po' OT... sorry, ma è un argomento che mi preme...)
Luca S. dice
Mah, spesso a fisica i prof. ordinari sono quelli che hanno molti collaboratori e senza fare nulla di scientifico si ritrovano con tantissime pubblicazioni. Quelli bravi riescono a fare lavorare al posto loro anche russi e simili.
Proprio perche` professori ordinari, le persone brave cercano di lavorare
con questi per fare carriera.
Conosco prof. associati (ed anche ordinari) di 50 anni che continuano
a fare i "lecchini" del vecchio "barone-scienziato".
Spesso questi "baroni-scienziati" sono quelli che predicano
la meritocrazia e la competizione, perche` sanno di avere un gruppo
molto forte di collaboratori che lavorano per loro.
Negli USA 3 mesi di stipendio in piu` puoi ottenerli con i grant di ricerca che vinci. Ho provato a chiedere, ma qui in Italia per ora non si puo`. purtroppo. Ma forse e` meglio, visto che i grant seri andrebbero quasi tutti ai soliti "baroni-scienziati".
Le facolta` sono necessarie per la didattica, soprattutto per la didattica dei corsi di base. Se vengono abolite le facolta`, il numero di posti per i fisici
nei corsi di laurea ingegneristici, medici e simili si ridurrebbe di molto.
Piuttosto andrebbero modificati i settori scientifici disciplinari.
I fisici matematici (Mat/07), che sono molti meno, hanno molti piu` posti
dei fisici teorici (Fis/02) perche` per tradizione la "meccanica razionale"
(ora "sistemi dinamici") la fanno loro agli ingegneri.
Le tasse universitarie sono troppo basse, soprattuto nelle lauree che hanno i laboratori e che offrono ottime prospettive ai laureati.
Cioe`, la laurea in medicina e chirurgia dovrebbe essere almeno
10 mila euro all'anno, ingegneria almeno 7 mila, e cosi via.
Bye,
L.
claudio b. dice
"Le tasse universitarie sono troppo basse, soprattuto nelle lauree che hanno i laboratori e che offrono ottime prospettive ai laureati.
Cioe`, la laurea in medicina e chirurgia dovrebbe essere almeno
10 mila euro all’anno, ingegneria almeno 7 mila, e cosi via."
Complimenti a te che li hai... E il povero Cristo "genietto" con l'unico difetto di essere povero in canna? Si frigge, come negli States? Ah, bene, questo è vero progresso...
Già che ci siamo, porterei le quote a 56000 Euro/anno a Medicina e 49600 Euro/anno ad Ingegneria, per avere laboratori ancora migliori.
delo dice
Quello che dice claudio b, secondo me, e' solo parzialmente vero.
Le universita' costano molto ma ci sono diversi metodi che permettono la fruzione del servizio. Le borse di studio per il "genietto" povero in canna ci sono e molte. In passato (non so ora dato l'aria che tira tra le banche) c'erano delle specie di mutui/prestiti agevolati per gli studenti (meritevoli) che ti permettevano di fare l'universita' con la certezza che quando ne uscivi guadagnavi dei bei soldoni che potevi restituire.
La domande chiave sono: funziona questo metodo? perche' il sistema e' fatto cosi'?
Alla prima domanda mi sento di rispondere si' (anche se e' al livello diu PhD che avviene il sorpasso rispetto allo standard europeo) alla seconda si puo rispondere pensando che il sistema delle universita' e' altamente concorrenziale (tra le universita'). Si', sembra strano ma e' cosi'; tutto nasce dal fatto che il titolo di studio non ha valore legale cioe' il famoso "pezzo di carta", non ha valore di per se' ma in quanto ottenuto in una universita' o l'altra. Se ti laurei a Harvard oppure all'universita' del Wyoming e' diverso, quindi gli studenti puntano prima a universita' prestigiose fino a scendere fino a dove vengono ammessi per il loro livello. (tipica scena da film che lo studente riceve le risposte via posta alle application...)
Esisteranno sicuramente storpiature di ricconi impreparati in grandi universita' solo perche' hanno i soldi.
I soldi non sono un problema se sei bravo.
Questa e' un po' l'idea che mi sono fatto con l'esperienza di vari amici che hanno studiato in america.
Non dico che e' un sistema perfetto pero' il fatto che in italia il laureato alla Sapienza e' uguale al laureato di Vidigulfo sul Naviglio (non per la citta' ma per l'offerta formativa che possono offrire) e', secondo me, ingiusto.
delo
Xisy dice
Tasse più alte e meglio differenziate? Sono d'accordo a patto che il sistema di borse di studio e agevolazioni sociali sia commisurato di conseguenza.
Cioè, se stabiliamo valido il principio per cui il diritto allo studio deve essere garantito anche a chi non può permetterselo, allora triplichiamo pure le tasse, per me non c'è problema.
claudio b. dice
Il commento di Xisy è ottimo.
Infatti, non siamo in America ma in Italia, e bisogna fare i conti con la situazione "ambientale" QUI, non con quella degli States, anche se ovviamente ci si può ispirare, e in ogni caso confrontare (ma allora gradirei che prendessimo esempi anche da Olanda, Norvegia, Germania, Francia, Inghilterra...). In "situazione ambientale" metto dentro aspetti normativi, culturali, politici e quant'altro.
Il fatto è che il sistema delle "borse di studio" in Italia è sempre stato deficitario e discriminante. Difatti, le soglie e i meccanismi di conteggio del reddito ufficiale sono tali per cui il figlio del proprietario di una grande industria in piena salute, riesce a prendere la massima aliquota e classificarsi in testa alla graduatoria (rigorosamente "per reddito") per il fatto che, quell'anno, il padre risulta "nullatenente" o meglio "nullapercipiente" grazie alle percentuali di ammortamento conseguenti ad un massiccio investimento. Detto in parole becere, in questo caso più si è ricchi più si sembra poveri, e questo senza minimamente infrangere o distorcere la Legge. In parole ancora più becere, chi più già ha, più riceve.
Faccio anche notare che l'equivalenza del titolo di Laurea in Italia è valida praticamente solo per il settore Pubblico, dato che sono decenni che i Privati si affidano a studi e graduatorie per "pesare" i voti di Laurea a seconda delle Università... Sicché anche quello che dice Delo è solo parzialmente vero.
claudio b. dice
... dimenticavo: riflettendo su quanto detto da Luca S. e Delo, non mi dispiacerebbe sentir parlare di che "valore" si dà ad un anno di studio in una determinata facoltà.
Perché allora concordo che il valore di un anno di studio in Italia è oggi come oggi fortemente sotto-valutato. In alcune università che conosco, un anno di Ingegneria può a buon diritto valere una ventina di kiloEuro; la domanda che sussegue è però la seguente: è giusto scaricare questo valore interamente sullo studente, ritenendo che questo vada "a favore del suo futuro"? O non è più corretto, e se sì in quale misura, ritenere che ciò sia anche un investimento per la Società (Stato) e per gli "esterni" (sponsores, enti di supporto esterni, finanziatori...), i quali sarebbero allora chiamati, in proporzioni varie a seconda del ruolo che si vuole attribuire loro, a partecipare ai costi?
Con la (s)proporzione attuale, per un anno di investimento da parte dello studente si dà per scontato che lo Stato debba investire, in proporzione, circa quattro o cinque volte tanto. E' giusto? Direi di no, ma se diamo per scontato che il "carico" sulle spalle dello studente sia 20 o 30000 Euro/anno, allora diamo anche per scontato che il frazionamento studente / esterni sia 50/50 o giù di lì, il che mi sembra un po' azzardato dall'altra parte... E in questo, attenzione al fatto che per la mentalità Statunitense questo è perfettamente normale, vedasi la questione della Previdenza Sociale... Mentre da noi è considerata un'eresia... Col risultato che gli Americani piangono il fatto di non avere una Previdenza Sociale più sostanziosa, e che noi piangiamo il fatto che la nostra ci costa un occhio della testa... Forse bisognerebbe smettere di pensare che un sistema piuttosto che l'altro sia La panacea, e cominciare a "mirare in mezzo"...
Bye
delo dice
ccondivido gli interventi.(soprattutto sulla questione borse di studio e problema "ambietale") Preciso solo che siccome si parlava di ricerca davo per scontato che si parlasse di "settore Pubblico", pero' mi interesserebbe vedere queste graduatorie sono di libero accesso? cioe' c'e' un link?
L'ultimo post rilancia il problema finanziamento su cui non ho informazioni delle universita' americane.
delo
claudio b. dice
"mi interesserebbe vedere queste graduatorie sono di libero accesso? cioe’ c’e’ un link?"
Non saprei dirlo, ho "imparato" che esistono (esistevano?) quando ancora l'uso del web era da "nerdies"... 😉
Cmq, una rapida "googleata" permette di agganciare in 4 e 4 8 una classifica pubblicata dal Sole 24 Ore. Sulla cui affidabilità nulla so.
Bye