Sono d’accordo con il Ministro Brunetta sulla meritocrazia e sulla mobilità dei ricercatori giovani. Mi sono laureato nel 1979, ho lavorato negli Stati Uniti, alla scuola Normale, al Max Planck Institut e al CNR fino al 1988, anno in cui, a 33 anni, ho vinto il primo concorso libero per associati. Tuttavia esistono lunghi periodi, nel nostro Paese nei quali per molti anni, non ci sono concorsi; alla fine di questi periodi ci sono persone molto brave che non hanno mai avuto l’opportunità di un concorso libero. Ciò succede purtroppo anche ora, dopo cinque anni di ministero Moratti e due di ministero Mussi. Una delle ultime cose buone che ha fatto Mussi - lo dico da professore universitario - è stato il prevedere posti in più per i ricercatori universitari, che in parte il nostro Governo attuale - il vostro Governo - sta mantenendo, e lo stabilizzare molti ricercatori meritevoli negli enti di ricerca. Ora, quando per molti anni non sono banditi concorsi, fermare simili stabilizzazioni implica una catastrofe, e il Ministro Brunetta dovrebbe saperlo perché egli è diventato professore associato con i concorsi del 1981 detti anche «grande sanatoria» con i quali tutti quelli che, a vario titolo, erano precari nelle università, sono stati, con un concorso riservato, accettati come professori. Poiché la situazione odierna è assai simile prego il Ministro di riconsiderare molto attentamente ciò che sta facendo ai precari, almeno per quanto riguarda la ricerca. Egli, infatti, rischia di fare del male ad altri: di non far loro godere un beneficio del quale, in un certo senso, egli stesso ha goduto
Giovanni Battisti Bachelet, intervento alla seduta 67 Camera dei Deputati, 15 ottobre 2008.
Copio e incollo l'intervento di Bachelet dell'altro ieri alla Camera (via Il Buco nero) perché mi sembra illuminante: quando si parla di mobilità si riesce sempre a dirne univocamente benissimo (la panacea per ogni male) o malissimo (la causa di ogni problema). Siamo onesti, il mondo non è bianco o nero: anche nella gestione del reclutamento delle teste pensanti esistono i grigi, che impongono (imporrebbero) di saper gestire in modo diverso situazioni differenti. A patto di voler gestire le situazioni con lo scopo di migliorare le cose, e non solo cercare il paniere più facile dal quale sottrarre dei soldi per dare l'impressione di saper far quadrare il bilancio.
Il contesto sollevato da Bachelet mi tocca in modo personale. Il sottoscritto è uno dei rari esempi di mobilità nel mondo della ricerca italiana (laurea in un posto, dottorato in un altro, postdoc e primo contratto in un terzo): ho imparato sulla pelle come spostarsi - sforzandosi di mantenere la testa in allenamento, uscendo da situazioni note e spesso comode - sia un elemento fondamentale per un (giovane) ricercatore. Ma nella bagarre di questi giorni sembra che si scambi una mobilità che può essere sana con una precarietà che invece avvelena la vita (e la mente) delle persone, di fatto ammettendo che possano essere sfruttate per anni e poi gettate via come fazzoletti usati.
Quanto a situazioni di carriera come quella del sottoscritto (e di Bachelet nel 1988), qualche anima bella pensa davvero che oggi (o anche ieri, prima delle crisi economiche) in Italia sia possibile bandire un concorso da associato per un soggetto che abbia passato 6 o 7 anni all'estero dopo il dottorato? Ah, illusi!
P.S. Irene mi segnala questa bella lettera sul Corriere di ieri. Merita una lettura, tanto per restare in tema.
frik dice
Caro Marco non hai idea di quanto questa situazione queste vicende mi rattristino. Sono davvero affranto. Non vedo nessuna luce all'orizzonte. Dovevano chiedere al tribunale europeo non di sospedere l'esperimento del LHC per paura di un buco nero ma di spospendere questi abominii di quegli imbecilli che già da tempo hanno creato un buco nero. Che tristezza , che sfiducia, che rabbia.
M. Grazia dice
Ciao Marco, l'intervento di Bachelet mi conforta, ma ho una tremenda paura di come andranno le cose. Il premier pensa di sedare la protesta con i militari e nella gente comune passa l'idea che l'università sia popolata da fannulloni. Qual è la soluzione? A me sembra assurdo che in tutta questa confusione non si avanza la proposta di una riforma radicale e seria dell'università. Noi che abbiamo studiato nelle facoltà scientifiche, nella maggior parte dei casi abbiamo trovato docenti molto presenti nell'università, mentre riscontro che in altre facoltà trovare il professore al di fuori delle ore di lezione è quasi un miraggio. Perchè non scegliere, a questo punto, una certa divisione dei ruoli? E per chi dice di fare ricerca, avviare un meccanismo di controllo sulla effettiva produzione scientifica...
Scusa la lunghezza.
Blog interessante e spesso divertente, il tuo!
Ciao!
Marco dice
Sono d'accordo, una riforma radicale e seria è necessaria.Una riforma che sappia differenziare e che tagliare gli sprechi e gli investimenti inutili che ci sono, e premiare e sostenere le situazioni virtuose che ci sono altrettanto.
Ieri prendevo un caffè un professore di fisica di Milano, che mi diceva che pare che alcune delle università "virtuose" stiano preparando una proposta di negoziato con il ministro, nella quale si impegnerebbero in una sorta di "pulizia" interna (cose tipo riorganizzazione intelligente dei corsi, chiusura delle sedi periferiche, richiesta di differenziazione dei salari per i professori a tempo pieno e quelli che fanno altro nella vita, ...), in cambio di una revisione dei tagli e delle riforme indiscriminate.
Potrebbe essere una buona cosa mostrare una certa consapevolezza e una volontà di cambiamento dall'interno. Anche se non sono sicuro che dall'altra parte ci siano orecchie adatte ad ascoltare, e che le resistenza interne all'università possano essere vinte facilmente. Staremo a vedere.
M. Grazia dice
si, le università di cui parla il prof. sono quelle che aderiscono all'AQUIS (http://www.uniriot.org/index.php?option=com_content&task=view&id=203&Itemid=104), di cui fa parte ad esempio l'università politecnica delle marche, dove attualmente lavoro, il cui rettore si è molto impegnato a spiegare che non c'è alcun bisogno di trasformare le università in fondazioni per far arrivare degli investimenti da parte delle imprese!
Dall'altra parte, non mi pare proprio ci siano molti ad ascoltare...è vero!
staremo a vedere....