Qui il jet-lag si attenua, stamattina ho aperto gli occhi alle 6:30, cosa che mi ha comunque lasciato il tempo di esplorare un po' la parte a Nord dell'aea dove albergo, trovare una zona carina di localini per bere un bicchiere la sera (ma non stasera, domani si parla!) e fare colazione alla Corner Bakery. Questa volta ero preparato alla richiesta di come volessi le uova (sunny side up!) e mi hanno nuovamente fregato:le uova erano solo scrambled, in compenso la consueta lista delle domande era a proposito del contorno. Un dimesso "the last you mentioned" mi ha portato patate al forno con la buccia e funghi. Meno male che io apprezzo.
Per arrivare a Chicago centro dall'areoporto O'Hare c'è un'ora di treno sulla blue line. Si attraversano i sobbroghi, che sembrano un set dei Blues Brothers enorme. Le case sono tutte in mattoni rossi, con le scale di legno per entrare e quelle di metallo nero che si arrampicano come ragni sul retro per fuggire al fuoco. Arrivare in America è sempre strano, questo posto occupa da sempre l'area dei sogni e della rappresentazione, io mi sento sempre catapultato su un set cinematografico.
Gli hotel più sciccosi di Chicago (dunque non il mio) hanno un valletto ("valet") che staziona davanti alla porta, e sistematicamente una ciotolona di metallo lucente come i tubi di scappamento dei tir dei film piena di biscotti a forma d'osso. La cura del cliente passa anche dall'accoglienza del suo cane, di solito un'odioso piccolissimo infiocchettato quadrupede che è più topo che cane (ma sono gusti). Salendo di categoria fino agli hotel lussuriosi la ciotola è vuota, e i biscotti sono sono in un enorme barattolo di vetro poco più in la: come per le persone, i cani poveri non mangiano, quelli medi si strafocano senza controllo, quelli ricchissimi si controllano.
A proposito di poveri, ce ne sono parecchi. O meglio, la quantità di gente che chiede la carità sulle lussuose strade del centro è incredibilmente alta. Molti sono giovani e giovanissini, o nei e vecchi (ma saranno vecchi per davvero, o solo rovinati). Il migliore cartello che ho incontrato per adesso è: "hungry, broke, and need a soap".
Sulla Michigan c'è lo shop Apple. Se uno non sapesse che cosa è la mela gigante che campeggia sul muro dell'edificio lo prenderebbe per una galleria d'arte moderna. Credo di aver capito che Apple non vende computer o tecnologia, ma uno stile di vita e dei simboli di riconoscimento di un branco. Il problema non è avere il migliore lettore mp3 per ascoltare la musica, piuttodto scegliere di colore dell'iPod da accoppiare alla maglietta con cui andare a correre, insieme a mille altri jogger con altrettanti iPod.
Sotto il John Hancock Center (uno dei tanti grattacieli del centro), c'è un caffè che si chiama "L'appetito": fanno un espresso con caffè Illy che non ha nulla da invidiare a un caffè italiano. Mai avrei detto. A Chicago può fare piuttosto fredo d'inverno, e per questo la North Face ha un negozio e-nor-me proorio di fianco a L'Appetito. Ah, non potrò resistere ancora molto...
[…] 2006. Gli altri articoli su quella conferenza sono Colazione a Chicago, Almeno il mio hotel c'era, Blue Line, Greetings from Chicago e Libertà è scegliere la propria […]