La settimana scorsa ho partecipato ad un workshop dedicato allo sviluppo di una piccola board elettronica, una IPMC (che sta per Intelligent Platform Management Controller). A dirla tutta ero uno degli organizzatori del workshop, visto che il gruppo del mio laboratorio ha sviluppato hardware e software di una particolare versione di IPMC che viene usata da ATLAS e da altri esperimenti, ma questo è dettaglio rispetto a quello che voglio raccontare.
Il workshop in questione era rivolto tanto agli ingegneri che questo genere di elettronica la sviluppano, quanto ai fisici che questa elettronica la immaginano (per poi essere riportati con i piedi per terra dai suddetti ingegneri, siano sempre lodati!) e che soprattutto la usano. C'erano dunque parti più espositive (questo modello funziona così, può fare questo, il suo firmware può essere modificato così e cosà con questi strumenti) ed altre più pratiche, dove anche i più maldestri fisici presenti (e non si parla certo del sottoscritto, ça va sans dire!) hanno potuto cimentarsi con la scrittura di firmware di gestione, fosse anche solo per far sfarfallare i LED luminosi della carta comandandola con il loro computer.
In barba agli stereotipi di genere, la persona incaricata della gestione delle varie sessioni era R., una giovane fisica di ATLAS di origine israeliana, che in questo momento ha un contratto di post-dottorato con l'Università dell'Indiana. Durante una delle pause R. è venuta a presentarsi: aveva sentito parlare di me dalla sua amica L., anch'essa di origine israeliana, con la quale un paio d'anni fa avevo quotidianamente condiviso gioie e dolori della famosa particella di 750 GeV che non c'era. Per questa ragione R. mi associava al prototipo di fisico delle alte energie che si occupa esclusivamente di analisi dei dati: "Sei dunque passato a occuparti di hardware?", mi ha chiesto, come se mettere mani a pezzi di rivelatore o elettronica, o invece occuparsi di analisi dati, ricerche e misure, fossero due attività incompatibili. "Cerco di fare entrambe le cose", le ho detto, spiegandole che è certamente difficile trovare tempo e modo per avanzare con successo in entrambi i settori, ma che mi sembrava qualcosa di assolutamente necessario. La fisica delle particelle è diventata infatti sempre più specializzata, e sempre più rari sono quei fisici sperimentali che riescono allo stesso tempo a partecipare attivamente alla costruzione, realizzazione e mantenimento in funzione di un rivelatore, e a occuparsi di analisi dei dati e di fenomenologia delle particelle che studiano. Per quanto forse inevitabile, vista la taglia e la complessità dei progetti, questo fenomeno è limitante, e persino potenzialmente pericoloso.
Dieci anni fa riflettevo sul fatto che molti dei miei giovani colleghi non avevano mai visto un dato, e che si avvicinavano alla prossima presa dati di LHC con un bagaglio di conoscenze di analisi basato esclusivamente sulla simulazione. A dieci anni di distanza, molte delle paure espresse in quella riflessione restano vere: dentro le collaborazioni di LHC sono ormai tanti quelli che hanno toccano dei dati "reali", ma il cui contatto con la realtà dell'esperimento è minimo, se non remoto. L'attitudine a diventare ottimi analizzatori di dati predigeriti, filtrati e calibrati da altri, di cui parlavo in quel vecchio articolo, resta un fenomeno reale e spesso problematico. Da una parte, questi fisici sono sovente troppo lontani dallo strumento con cui i dati che manipolano sono stati raccolti: se i dati mostrano qualche stortura dovuta ad un malfunzionamento del rivelatore (e lo fanno spessissimo!), solo una conoscenza profonda delle "interiora" dell'esperimento permette di venirne a capo. Dall'altra, si propaga nella comunità l'idea che l'unico passo importante nella fisica sperimentale delle alte energie sarebbe quello compiuto da colui che realizza l'ultimo grafico, che fa l'ultima regressione, che estrae la misura finale. Misura finale che invece non esisterebbe se non ci fosse anche chi ha saldato le carte di elettronica, fissato i cavi, scritto il firmware dei microcontrollori, e così via!
Si parla molto in questo periodo di riconoscimento del lavoro fatto dai singoli all'interno delle grandi collaborazioni. È un problema complesso, che non ha soluzioni semplici. Di sicuro però alcune di quelle che vedo proporre (non fare firmare a tutti gli articoli, ma solo a chi ha contribuito al risultato specifico; cambiare l'ordine degli autori degli articoli, per mettere in evidenza chi ha realizzato il risultato) sembrano affrontare la questione solo dal punto di vista del rifinitore ultimo che "ha tirato in porta e fatto goal", ignorando il lavoro della squadra che ha portato la palla fino nell'area di rigore degli avversari. Il problema non è però solo quello di riconoscere l'importanza del lavoro di quei colleghi come R. che si occupano delle parti del rivelatore che i dati acquisiscono, trattano, calibrano. Se instauriamo una cultura che privilegia (con assunzioni, posizioni di responsabilità o occasioni di visibilità conferenze, che sono la moneta di scambio nel mio mondo che non ha molto altro per gratificare lo sforzo individuale) l'esclusivo lavoro di analisi dei dati e di misura finale, i giovani fisici si butteranno (si buttano!) a fare esclusivamente questo, non foss'altro che per massimizzare le loro opportunità di carriera futura. E nel farlo non imparano a costruire, montare, calibrare un rivelatore e i suoi pezzi: e chi costruirà allora i rivelatori di domani?
La specializzazione va bene per gli insetti, scrivevo su queste pagine nove anni fa, con LHC che aveva appena ripreso a collidere protoni, dopo un anno di pausa in seguito all'incidente del 2008. Continuo a credere che i fisici migliori siano coloro che mantengono un'ampia flessibilità, che sono ancora capaci di fare i conti con la matita, saldare una carta di elettronica, calcolare un diagramma di Feynman e analizzare dati con software complicati. A chi mi dice che è difficile, cito sempre l'esempio di K., un fisico di ATLAS con una decina d'anni più di me, che è stato prima Project Leader di uno dei sotto-rivelatori del tracciatore centrale dell'esperimento, poi coordinatore del gruppo di lavoro responsabile delle misure di precisione dei processi Standard Model, poi Physics Coordinator, e poi di nuovo coordinatore del gruppo responsabile della progettazione e realizzazione degli upgrade dell'esperimento. È possibile, anche se non necessariamente facile, essere competenti tanto in fisica fondamentale quanto nella tecnologia necessaria a farne gli esperimenti, dicevo dunque a R.. "Una persona nella mia posizione", scherzavo con lei prima che riprendessero i lavori del workshop, "ha almeno il vantaggio di poter assumere un postdoc o un dottorando per portare avanti entrambe le linee di lavoro!". La verità è però che, tanto ai miei studenti che ai postdoc che lavorano con me, suggerisco sempre di dedicare almeno una frazione del loro tempo a quell'attività che non rappresenta il loro progetto principale: un contributo a un'analisi se sono specializzati in fisica dei rivelatori, un piccolo progetto hardware anche se l'analisi dei dati è quello che fanno nella maggior parte del tempo. La specializzazione, appunto, va bene per gli insetti.
Robo dice
Ciao. Molto interessante. É un tipo di argomentazione che ho già sentito a proposito dell’applicazione delle conoscenze scientifiche. Forse é un effetto collaterale dell’incremento quantitativo di queste ultime.
O.T. Che ne pensi della lotta della tua collega Sabine Hossenfelder contro la "naturalezza" come faro nella fisica teorica delle particelle e contro (a suo dire) il proliferare di papers slegati da ogni possibilità di falsificazione che questo comporta (se ho capito ciò che intende). Ciao e grazie
Marco dice
È una domanda complicata che richiederebbe un articolo a parte. In generale (ma sono uno sperimentale!) tendo ad essere d'accordo con Sabine, specie per la sua crociata contro il proliferare incontrollato delle varie incarnazioni della teoria delle stringhe. Sulla questione del ruolo della naturalezza le cose sono secondo me più sfumate, prima o poi ne scriverò...
Robo dice
Grazie, attendo con ansia. Ciao
GIGI dice
Aspetto anch'io. (Da tanto...)
SR-71 dice
Concordo al 100% !
La iperspecializzazione é un problema ormai diffuso in tutte le attività a sfondo tecnologico, anche quelle meno nobili della fisica.
Claudio dice
Ecco, bravo Marco. Diamo un po' di visibilità anche agli ingegneri e tecnici del cooling dei rivelatori sia presenti che futuri, perché se non raffreddiamo per bene l'elettronica mica si prendono dati giusto? 🙂
Fabiano dice
Ciao Marco, mi fa tanto strano sentirti parlare di "carte". Io lavoro per un'azienda che progetta e produce apparecchiature elettroniche e noi le chiamiamo schede, mai sentito nessuno chiamarle carte. Forse è un indizio che le tue conversazioni sull'elettronica avvengono esclusivamente in francese e/o inglese? 🙂
Marco dice
Assolutamente! Credo sia un calco principalmente dal francese. Perdonatemi.. 🙂
Giulio Morpurgo dice
Uno dei piu` grandi esempi di fisico sia teorico che sperimentale e` stato Enrico Fermi, e credo che is suo lavoro sia una perfetta dimostrazione della ideale complementarieta` di questi due aspetti.
Quanto dici e` giustissimo; ancora di piu` se applicato a esperimenti cosi` lunghi e grandi come quelli dell' LHC, dove il rischio e` di passare quasi una intera vita professionale vedendo solo un piccolo aspetto del detettore, o una piccolo parte della fisica, senza avere una vision d'insieme.
Ciao,
Giulio
yopenzo dice
Perché scrivi solo un'iniziale delle fisiche israeliane e non i nomi per intero?
Marco dice
Di solito non l'identità dei miei colleghi di cui racconto sul blog, a meno che sia funzionale alla comprensione di quello di cui parlo. Non sono sicuro che sarebbero contenti/e di essere citati, e ne proteggo la privacy in questo modo. L'ho fatto in questo post come in molti altri, se guardi bene.
yopenzo dice
Sì l'avevo già notato. Pensavo fosse una strategia letteraria tipo "l'agrimensore K."...
Io invece sarei molto contento di essere citato da te, quindi - se dal caso - con la presente ti autorizzo a scrivere yopenzo invece che y. 😀