Giovedì scorso, come avevo annunciato qualche tempo fa, sono stato a La Morra, dalle parti di Torino, per la scuola di dottorato SCS 2014. Mi hanno invitato per la giornata dedicata ai blog scientifici, e, più in generale, per discutere del blog come strumento di divulgazione e comunicazione della scienza. È stata un'esperienza molto piacevole e arricchente, per ragioni che proverò a raccontare: veramente grazie a Agorà Scienza per l'invito!
Tanto per cominciare, la mattina, dietro al tavolo dei "docenti", c'erano persone di caratura indiscussa: Astrid Pizzo, che ha studiato il fenomeno dei blog di scienza in Italia ed all'estero in modo appunto scientifico; Sylvie Coyaud, che scienziata non è ma tiene un blog che di scienza si occupa, che ha portato lo sguardo e la professionalità del giornalista; e Piero Bianucci, che di divulgazione scientifica si occupa per mestiere da sempre, e su ogni possibile mezzo di comunicazione. Lì in mezzo, io giovavo il ruolo della cavia, lo scienziato che si è ritrovato a fare (anche) divulgazione della sua scienza, per molti versi quasi per caso. Discutere con i miei compagni di docenza è stato gratificante e stimolante.
La ragione principale per cui l'esperienza è stata molto positiva sono stati però gli studenti, quelli seduti dall'altra parte del tavolo. Quasi tutti dottorandi, qualche assegnista di ricerca, praticamente tutti scienziati, ma anche un paio di umanisti col pallino della comunicazione della scienza. Erano tutti chiaramente motivati e interessati, e in più ormai anche rodati come gruppo come solo alla fine di una scuola residenziale può succedere: cosa potevamo chiedere di più?
Nel pomeriggio, in compagnia di Sylvie Coyaud, ci siamo lanciati in una sorta di esercitazione pratica che seguiva le tracce della discussione del mattino: come si scrive un pezzo di divulgazione per un blog, breve e leggibile da tutti? Come lo si rende interessante? Come lo si pubblicizza? Come si gestisce la discussione che potrebbe generare (perché conversazione è la parola chiave che definisce un blog, insieme a continuità), con tutti i potenziali problemi? Ne è venuto fuori questo blog tematico, con un sacco di contributi interessanti, sia per i contenuti sia per le scelte di forma fatte dagli studenti: fate un salto e andate a leggere, ne vale la pena.
Come sempre, a provare a insegnare si finisce anche per imparare. Da parte mia, ho imparato che questa generazione di scienziati ha molto chiara in testa l'evoluzione settaria della scienza, e non è rassegnata per niente al ruolo di soldatino della ricerca, operaio in un formicaio dove il singolo spesso perde il contatto con la visione generale dell'impresa scientifica, e, peggio, con le motivazioni che lo hanno spinto a lanciarsi in questo mestiere. Mi è sembrato essere questo il tema di fondo di tutte le discussioni, al di là delle questioni tecniche o delle analisi degli specifici strumenti: perché vale la pena provare a comunicare la scienza che facciamo? Perché ci permette di riappropriarci delle ragioni più intime che ci hanno spinti a diventare scienziati, e perché farlo è un gesto politico, che riconosce esplicitamente la natura non neutrale della visione scientifica del mondo, e il suo impatto nella formazione sociale della popolazione e dei paesi. Sapere che dei dottorando hanno in testa questo è stato molto confortante. Dove possa portare questa consapevolezza, poi, non è necessariamente chiaro (specie in Italia, con il suo sistema di baronie e la meritocrazia monca), ma mi sembra un punto di partenza importante.
Poi, naturalmente, ci sono anche gli strumenti, e la capacità di usarli. Strumenti tecnologici ma anche di comunicazione e scrittura, chiavi del buon uso della rete e della sua comprensione. Strumenti che sono importanti, e che avrebbero meritato molto più che mezza giornata per essere sviscerati. E che, scoperta che mi ha lasciato un po' basito, non sono poi così noti o compresi da questi "nativi digitali", o perlomeno non quanto mi sarei aspettato. Ma questo meriterebbe un discorso a parte, forse un'intera altra scuola, e, comunque, non è la cosa più importante.
renata dice
sempre interessanti gli argomenti e gli stimoli di questo blog, tanto che anche una profana come me si sente catturata da questi argomenti perchè si percepisce nell'autore passione, competenza del proprio lavoro e allo stesso tempo un invito, amichevole e stimolante ad aprirsi a nuove conoscenze; anche questa è ricchezza e che ricchezza!
robi dice
Bravissimo! Ma i commenti che leggo nel blog tematico sono generati da voi o sono di utenti esterni? Ciao.
Marco dice
Quelli al pezzo sull'omeopatia sono scritti da noi (io dietro alla maggior parte di quelli provocatori), faceva parte dell'esercitazione...
chiarofiume dice
Sulla conclusione del post sento il sangue ribollire.
Già l'espressione "nativo digitale" mi manda fuori dai gangheri.
Se ci fosse stato il blogging, quando iniziammo ad avventurarci nel digitale, facendo buchi su schede e collezionando i nostri esperimenti di comunicazione, con i computer, in cassette di schede, perforate e gelosameente custodite .... oggi conosceremmo il digitale come una dimensione "relazionale" [con l'analogico dal quale proveniamo] e ... potremmo vivere in un "sistema" [sociale] migliore.
Della mia estate al CERN, da samerstiudent [come direbbe un umarell bolognese] ricordo il mio gruplider che modificava un programma tappando un buco di "una" delle sue "tante" schede perforate con un rettangolino di carta e la saliva 🙂 anbelivable!!
La cosa più importante è il modo di usarli, gli strumenti, a modesto avviso di uno spinoffato e scatterato della fisica. va mo la!
Marco dice
Ehi, ehi, piano, che poi ti scoppiano le coronarie 🙂
L'etichetta "nativo digitale" è generica e superficiale, concordo, ma serve alla bisogna per identificare una generazione e una familiarità (almeno nella forma) con lo strumento della rete. Familiarità che spesso non corrisponde né a reale conoscenza delle potenzialità (e non parlo dell'aspetto puramente tecnologico, ma proprio di quello relazionale), né delle regole, dei rischi, delle insidie. Che ti piaccia o meno, qualcuno che oggi ha meno di trent'anni ha in tasca una potenza di calcolo che ridicolizza le tue (e mie) schede perforate, ma spesso lo usa per scemenze, non tanto perché non sa usarlo, ma perché non ha mai riflettuto su come potrebbe usarlo.
chiarofiume dice
La potenza di calcolo serve a chi fa ricerca scientifica.
Per renderla fruibile, quando l'interfaccia uomo-macchina era rudimentale, si fece qualcosa per aiutare i ricercatori, di ogni età, di quei tempi.
Oggi le interfaccia macchina-macchina sono più evolute delle interfaccia persona-persona. Alla potenza computazionale si è aggiunta una potenza relazionale che dovrebbe essere usata socialmente per fini non solo scientifici.
Credo sia urgente rimediare all'arretratezza dell'interfaccia persona-persona, dove lo stato dell'arte segna il passo da oltre 30 anni.
Qualcuno dovrà putroppo rischiare di farsi saltare le coronarie 🙁
Giuliana dice
Marco, grazie di tutto! E' stato un piacere conoscerti e imparare da te! Hai fatto rinascere in me l'entusiasmo di scrivere sul mio blog personale e presto ricomincerò a farlo seguendo i tuoi suggerimenti: "Quando?" "di notte invece di dormire, sovente"! 😀
PS. Come sta Pino?
Marco dice
Pino è ancora un po' stressato per il modo con cui lo avete trattato, ma si riprenderà (andando a blaterare altrove) 🙂
Giuliana dice
Povero Pino! In fondo è solo un uomo semplice.. 😉