Cosa ci resta da rivelare? Nelle puntate precedenti abbiamo visto come misurare le tracce di particelle cariche, come distinguere elettroni da fotoni e protoni da neutroni, e come fare a osservare quark e gluoni. Cosa manca? Poca roba. I neutrini, e in generale le particelle che non interagiscono poco o niente, e i muoni. Di questi ultimi parliamo velocemente oggi.
Il muone è il cugino pesante dell'elettrone: è elettricamente carico allo stesso modo, ha lo stesso spin, ma ha una massa circa 210 volte maggiore. Per le strane leggi che regolano l'interazione delle particelle con la materia, il fatto che sia più pesante fa sì che, a parità di energia, un muone interagisca molto meno che suo cugino l'elettrone mentre attraversa i rivelatori. Scordatevi dunque che generi uno sciame simile a quelli indotti dagli elettroni nei calorimetri elettromagnetici. I muoni possono emettere fotoni in modo analogo, ma si tratta di un'eventualità molto meno probabile che per gli elettroni. Nella maggior parte dei casi, i muoni si limitano ad attraversare i materiali perdendo ben poca energia, e proseguendo praticamente indisturbati.
Siccome sono elettricamente carichi, i muoni lasciano una scia nel rivelatore centrale. Troppo spesso però sono talmente energetici che le loro tracce sono praticamente diritte, per cui la misura del loro momento fatta dal solo tracciatore grazie alla curvature nei campo magnetico centrale è poco affidabile. Tradizionalmente, la soluzione a questo problema consiste nell'equipaggiare l'esterno dei rivelatori con un tracciatore analogo nel concetto a quello centrale, ma diverso nella tecnologia e sopratutto nelle dimensioni. Permettere ai muoni di muoversi in un campo magnetico su distanze maggiori, garantisce infatti curvature maggiori, e dunque misure più precise.
Dopo i calorimetri adronici, praticamente tutti gli esperimenti di fisica delle particelle agli acceleratori hanno dunque uno tracciatore dedicato ai muoni. I piccoli pixel al silicio dei tracciatori centrali sono sostituiti da grandi camere, ma il concetto resta lo stesso: vedere un puntino accendersi al passaggio de muone, e ricostruire una traccia unendo i puntini, magari combinando quelli del tracciatore centrale con quelli dello spettrometro esterno.
Resta la questione del campo magnetico: quale utilizzare? Qui le soluzioni sono spesso diverse. CMS per esempio usa lo stesso campo centrale usato dal tracciatore interno, ragione per la quale può vantarsi dell'aggettivo "compatto", con tutti i vantaggi (anche economici) e gli svantaggi (ricordate i problemi dei calorimetri immersi nei campi magnetici?). ATLAS invece ha deciso di equipaggiarsi di un secondo campo campo magnetico, in modo da lasciare intonsi i calorimetri. Si tratta di un campo di forma toroidale e non solenoidale, dedicato esclusivamente allo spettrometro a muoni. Un toro, per la cronaca, è una figura geometrica simile a una ciambella: il campo toroidale di ATLAS avvolge l'esperimento come un salvagente, ed è generato con il consueto principio dell'elettrocalamita, solo che questa volta gli avvolgimenti sono delle enormi bobine lunghe circa 20 metri e alte circa 4, che caratterizzano la forma di ATLAS.
DaVeTheWaVe dice
ciao Marco! segnalo un typo: "Si tratta din canmpo di forma toroidale"
come sempre, grazie!
Marco dice
@DaVeTheWaVe: grazie, corretto.
forzalube dice
Puoi mettere i link alle 8 puntate precedenti che per un lungo periodo non son riuscito a leggere il blog?
Marco dice
Alla fine della serie (mancano due puntate) metto su un post riassuntivo. Dall'ultima puntata puoi navigare indietro, oppure cliccare sul link "rivelatori" in calce all'articolo.
dario dice
@Marco
ma perchè racchiudere il tutto in un fascicoletto, in modo da poter essere stampabile e farne anche un uso didattico no ?
Marco dice
@Dario: non lo escudo, un po' come avevo fatto con la serie sul funzionamento di LHC. Ma non subito, visto che ho altri progetti legati a questa serie in mente. Tra un paio di puntate sarà più chiaro... 🙂