Dicevamo nella puntata precedente che non tutte le particelle sono cariche, e che ci servirà dunque anche un sistema per misurare energia e posizione di particelle neutre, come il fotone o il neutrone. Inoltre, i tracciatori centrali potrebbero non essere sempre la soluzione migliore per misurare l'energia delle particelle cariche: se la velocità di queste particela è troppo grande, la curvatura della loro traccia nel campo magnetico centrale sarà infatti minima (di fatto, le tracce appariranno praticamente diritte), e la misura del momento da parte del tracciatore non molto precisa. Per ottener una precisione migliore, dovreste estendere la copertura del tracciatore fino a dimensioni poco pratiche, aumentando a dismisura il numero degli strati, e accollandovi un costo spropositato. La soluzione scelta invece da praticamente tutti gli esperimenti di fisica delle particelle delle alte energie, è quella di far seguire i tracciatori dai calorimetri, dispositivi specializzati nella misura dell'energia delle particelle tramite il loro completo assorbimento. L'idea è semplice: se riesco a fermare una particella, e a farle rilasciare tutta la sua energia nel rivelatore mentre ne interrompo la corsa, posso misurare questa energia con grande precisione.
Come si ferma una particella? In generale, facendola passare attraverso un materiale sufficientemente denso, all'interno del quale la particella interagirà perdendo tutta la sua energia iniziale. Per capirci meglio, prenderemo ad esempio un fotone (che etichetteremo con la lettera \(\gamma\)). Se viaggia nel vuoto, un fotone resta sostanzialmente uguale a se stesso, di fatto senza perdere energia e senza alterare le sue caratteristiche. Se invece attraversa un materiale, un fotone di sufficientemente alta energia (e per sufficientemente alta energia intendo con energia superiore a qualche decina di MeV) interagirà principalmente producendo una coppia elettrone-antielettrone, così:
L'elettrone e il positrone prodotti avranno un'energia inferiore a quella iniziale del fotone, visto che la somma delle loro energie (massa inclusa) sarà esattamente uguale all'energia del fotone che li ha prodotti. Per comodità, anche se non è vero che in una frazione dei casi, diciamo che se la divideranno a metà tra loro. Che cosa fanno a loro volta l'elettrone o il positrone prodotti dal fotone nel materiale? A quelle energie, viaggeranno all'interno del materiale per una certa distanza, per poi emettere un fotone, così (vi faccio l'esempio dell'elettrone, per il positrone è lo stesso):
Dopo aver emesso un fotone, la loro energia sarà inferiore a quelle che avevano appena dopo essere stati prodotti, perché una parte se la sarà presa il fotone. Anche qui, per semplificare molto, diciamo che il fotone si porta via metà dell'energia iniziale dell'elettrone o del positrone. Che cosa succede agli elettroni e positroni rimarsi, ed ai fotoni emessi? I fotoni viaggeranno a loro volta per un po', e, se hanno energia a sufficienza (e torneremo su questo aspetto tra un attimo), produrranno una nuova coppia elettrone-positrone. In maniera analoga, gli elettroni ed i positroni viaggeranno ancora un po' all'interno del materiale, per poi emettere nuovamente un fotone. Questi processi di emissione e di creazione di coppie sono governati da leggi statistiche, e non avvengono sempre dopo la stessa distanza. È possibile però definite una variabile, chiamata in gergo lunghezza di radiazione, che ha nella realtà una definizione complicata, ma che possiamo immaginare come la misura di quanto un fotone possa viaggiare all'interno di un materiale prima che ci sia una probabilità elevata di convertirsi in una coppia elettrone-positrone (quanto elevata non ve lo dico, facciamo finta che sia 100%), e di quanto un elettrone possa viaggiare prima di perdere una certa quantità di energia per emissione di fotoni (quantità che faremo finta sia il 50%). Questa distanza dipende alla proprietà del materiale attraversato: vi basti sapere che, più denso il materiale, più corta sarà la lunghezza di radiazione.
Ecco dunque lo scenario che si prospetta per un fotone che entra in un materiale caratterizzato da una certa lunghezza di radiazione \(X_0\): dopo aver percorso un distanza \(X_0\) si convertirà in una coppia elettrone positrone; i due figliuoli proseguiranno per un'altra \(X_0\) prima di emettere un fotone ciascuno, che li accompagnerà nel viaggio per un'altra \(X_0\), prima di convertirsi a sua volta in un'altra coppia elettrone-positrone, mentre i primi elettrone e positrone emetteranno un altro fotone. La cascata di particelle generata si chiama sciame elettromagnetico, ve ne faccio uno schema semplificato:
Se prendiamo per buona l'idea che ogni coppia elettrone-positrone si divida a metà l'energia del fotone madre, e che ogni fotone emesso da un elettrone o un positrone gli porti via metà dell'energia, non è difficile calcolare quale sarebbe il numero e l'energia delle particelle nello sciame dopo un certo quantità di lunghezze di radiazione attraversate. Se \(E\) è l'energia iniziale del fotone, dopo \(1 X_0\) le particelle nello sciame avranno energia \(\frac{E}{2}\), dopo \(2 X_0\) \(\frac{E}{4}\), dopo \(3 X_0\) \(\frac{E}{8}\), dopo \(N X_0\) \(\frac{E}{2^N}\). Si tratta di uno scenario super semplificato, ma vi da un'idea di quello che succede. Nella realtà le cose sono più caotiche, nonché tridimensionali:
E naturalmente diventano anche più complesse se immergete il vostro calorimetro in un campo magnetico, perché elettroni e positroni nello sciame tenderanno curvare, allargando la dimensione laterale dello sciame:
Quando si ferma il processo? A un certo punto i fotoni avranno un'energia troppo bassa per produrre nuove coppie elettrone-positrone (se l'energia del fotone è inferiore alla somma delle masse di un elettrone e un positrone, circa 1 MeV, la produzione di coppie è impossibile), e inizieranno a interagire con la materia con processi diversi, che portano rapidissimamente al loro assorbimento da parte del materiale. Analogamente, appena la loro energia scende sotto qualche Mev, elettroni e positroni non emetteranno più fotoni, ma anch'essi inizieranno a interagire con il materiale con processi di collisione che portano al loro assorbimento totale altrettanto rapidamente. Se riuscite a costruire un rivelatore capace di sfruttare questi processi di bassa energia, e di misurare l'energia delle particelle che popolano lo sciamo elettromagnetico subito prima del completo assorbimento, avete costruito un calorimetro elettromagnetico. La somma delle (piccole) energie di queste (tante) particelle vi darà una misura affidabile dell'energia (elevata) del fotone iniziale. Come questo possa essere fatto nella pratica, e con quali tecnologie, ve lo racconto la prossima volta, prendendo ad esempio le scelte di ATLAS e CMS.
Notate che questo rivelatore non misura solo l'energia dei fotoni: funziona benissimo anche per misurare l'energia degli elettroni. Se infatti a colpire il vostro rivelatore è un elettrone, otterrete lo stesso uno sciame elettromagnetico, con lo stesso principio:
Dal punto di vista di un calorimetro elettromagnetico, fotoni ed elettroni si manifestano nello stesso modo: come fare dunque a distinguerli? In questo caso, dovete mettere insieme le informazioni raccolte dal tracciatore centrale: un elettrone, essendo carico, lascia una traccia, mentre un fotone, essendo neutro, no. Un deposito di energia nel calorimetro elettromagnetico senza nessuna traccia associata sarà dunque con tutta probabilità un fotone, se invece c'è una traccia che gli corrisponde, sarà con buona probabilità un elettrone. Più o meno così (e tenete conto che la linea tratteggiata verde serve solo a farvi vedere dove ha viaggiato il fotone, ma il rivelatore non è in grado di evidenziarla):
E i protoni? I pioni? I neutroni? Per loro vi servirà un calorimetro dedicato, basato su principi simili, perché in generale il materiale che è sufficiente per fermare elettroni e fotoni viene attraversato senza troppi problemi (e senza grandi depositi di energia) dagli adroni. Ne parliamo in una delle prossime puntate.
Vi lascio un compito a casa. Diciamo che la soglia energetica sotto la quale fotoni ed elettroni sono assorbiti rapidamente dal materiale sia 10 MeV. Quante lunghezze di radiazione vi servono per fermare un fotone di 100 GeV? E uno di 1 TeV? E se invece a entrare fossero elettroni? Fatemi sapere nei commenti.
Giovanni dice
Per un fotone di 100 GeV n=14 per 1 TeV n=17.
marco dice
Io non rispondo alla domanda ma ho una domanda per te. Come realizzi le belle illustrazioni che usi nel blog? certo alcune sono foto/immagini che trovi in pubblicazioni o altro, ma quelle che non lo sono?? come fai?
Grazie.
Marco dice
@marco: Powerpoint, pazienza, e po' di esperienza di grafica 🙂 (perché non rispondi? Eddai...)
Mattia dice
un fotone che entra a 10^11 eV (100 GeV) e viene assorbito quando raggiunge 10^7 eV (10 MeV) , se una lunghezza di radiazione dimezza l'energia... Basterà un passaggio.
Immagino sia sbagliato!
Marco dice
@Mattia: mi sfugge come fai le divisioni: 10^11 diviso due fa 5 * 10^10, ovvero, semplicemente, 50 GeV. Dopo una lunghezza di radiazione avrai (in questo modello semplificato) due particelle da 50 GeV l'uno. Mi sembra tu sia ancora ben lontano dai 10 MeV, no? 🙂
Mattia dice
chiedo infinito perdono! mi sono accorto dopo 3 secondi che avevo pubblicato della cazzata enorme... ma non sono capace a modificare i commenti... oltre che a fare le divisioni!
Marco Muroni dice
14 e 17;
ma la domanda che hai fatto
"E se invece a entrare fossero elettroni? "
dove stà l'inghippo ? 😉
Mauro dice
Per come hai posto il problema, la formula dovrebbe essere log_2 (E_in / E_soglia) ~= log_10 (E_in / E_soglia) / 0,3. Quindi, rispettivamente 4/0.3 (~ 13,3) lunghezze di radiazione per 100 GeV e 5/0.3 (~ 16,7) per 1 TeV.
Roberto dice
In questo modello semplificato:
14 lunghezze di radiazione per un fotone di 100 GeV
10^11 eV /2^14 eV = ~ 6.103.516 eV < 10 MeV
17 lunghezze di radiazione per un fotone di 1 TeV
10^12 eV /2^17 eV = ~ 7.629.395 eV < 10 MeV
Come hai detto tu Marco per l'elettrone è la stessa cosa, è il tracciatore che fa la differenza!
Roberto dice
ps: mi scuso per l'imprecisione formale del simbolo "eV" vicino al denominatore dei rapporti, intendevo dire che il risultato è espresso in eV 🙂
Daniele S. dice
Mi viene così:
E/2^N
(100 GeV)/2^N
2^N>=(100 GeV)/(10 Mev)=10^4 ->N=14
Analogamente per l'altro caso (E=1 TeV).
Se si tratta di elettroni i calcoli sono (dovrebbero essere) gli stessi.
Saluti!
My_May dice
*Diciamo che la soglia energetica sotto la quale fotoni ed elettroni sono assorbiti rapidamente dal materiale sia 10 MeV. Quante lunghezze di radiazione vi servono per fermare un fotone di 100 GeV? E uno di 1 TeV? E se invece a entrare fossero elettroni?
çRispondo alla domanda a mio modo. Se il Sole fosse un fotone da 10GeV e la Terra il materiale che lo ferma, la Terra deve essere pari a 1, quindi per fermare un Sole da 100GeV avrei bisogno di una Terra 10 volte più grande (o forse piu densa?). Un 1 TeV credo 100 volte più grande (o densa).
Se fosse un elettrone? Non vedo la differenza.
La mia vale solo come partecipazione. 😀
Lorenzo dice
Il link in fondo che rimanda all'articolo successivo non è funzionante.
Non rispondo alla domanda perché è tardi e, visto quanto è interessante la serie, ho la prospettiva di una nottata a leggermi tutti gli articoli.
Marco dice
@Lorenzo, il link dovrebbe essere a posto adesso, grazie per la segnalazione. Buona lettura!
Lorenzo Galante dice
Ciao Marco,
mi chiamo Lorenzo Galante e sono un professore di matematica e fisica di un liceo di Torino. Sto leggendo il tuo 'diario' sulla rivelazione di particelle con 6 studenti della mia scuola. Ti scrivo per ringraziarti, trovo il tuo lavoro molto ben fatto e trovo l'esercizio che hai assegnato ben calibrato e necessario per permettere a ciascun lettore di testare la propria comprensione del concetto di lunghezza di radiazione. Grazie veramente, è un lavoro utile che sta emozionando me e i miei studenti. Oggi ci siamo messi a commentare immagini du spaccati dei vari rivelatori di LHC per ritrovare i vari concetti da te esposti nelle prime 5 'giornate' del tuo diario. E' stato divertente.