Per provare a capire i principi di funzionamento dei rivelatori di LHC (e per "principi di funzionamento" intendo veramente i principi primi, non proprio la fisica che sta dietro i processi di rivelazione o la tecnologia su cui si appoggiano) è necessario prima chiarire due concetti chiave. Eccoli qui.
Non riveliamo direttamente le particelle di cui siamo alla ricerca, ma i residui dei loro decadimenti. Le particelle più o meno esotiche che speriamo di produrre nelle collisioni di LHC e di rivelare per provarne l'esistenza o misurane le proprietà sono praticamente tutte particelle instabili. Ovvero, hanno una vita media molto molto corta: se prodotte in una collisione al centro del rivelatore non vivono a sufficienza per raggiungerne il primo strato, e decadono prima in modi diversi e svariati. Quello che noi osserviamo (o proviamo a osservare) sono dunque i prodotti di questi decadimenti. La principale sfida di ogni ricerca è quella di identificare una certa particelle dalle sole tracce che ha lasciato nel decadere, e nel distinguere queste tracce caratteristiche da tutti gli altri fenomeni che ne producono di simili, o addirittura si uguali. Esempio: un bosone Z decade in coppie leptone-antileptone (ovvero: elettrone-positrone, muone-antimuone, tau-antitau, e tutte le variazioni possibili di neutrino-antineutrino); se voglio dunque identificare la produzione di un bosone Z in una collisione, andrò per esempio a cercare le tracce di un elettrone e un antielettrone che abbiano caratteristiche compatibili con la provenienza dal decadimento di una Z.
Le particelle "stabili" prodotte dai decadimenti delle particelle di cui andiamo alla ricerca sono ben poche. Prima che vi dica quali sono, una piccola digressione sul concetto di "stabile" in questo contesto: non sono necessariamente stabili nel senso che non decadono fino alla fine dell'eternità, ma lo sono in senso relativo alla dimensione dei rivelatori. Ovvero vivono abbastanza (nelle condizioni relativistiche legate alla loro velocità, praticamente sempre prossima a quella della luce) da attraversare i rivelatori senza decadete. In sostanza, ogni tipo di particella di cui andiamo alla ricerca prima o poi decade in:
- elettroni
- fotoni
- muoni
- un qualche tipo di adrone (pioni, protoni, neutroni, ...)
- neutrini
e le loro antiparticelle. Voilà. In sostanza, (quasi) niente altro raggiunge il rivelatore in tempo. Per tornare alla questione della stabilità: il muone, per dire, non è di per se stabile, ma ce la fa ampiamente ad attraversare i rivelatori di LHC (e oltre) senza decadere, per cui al fine della rivelazione possiamo considerarlo come tale. Considerazioni simile si possono fare per neutroni o pioni, che arrivano belli integri ai rivelatori (cosa poi noi gli facciamo quando si presentano è un'altra storia).
La struttura di ogni rivelatore di particelle "multifunzione" (come ATLAS e CMS) è sostanzialmente studiata per riuscire a rivelare questo gruppo particelle, e misurarne le proprietà (posizione, carica, energia, momento). Di fatto, dall'inizio della storia degli esperimenti di fisica delle particelle agli acceleratori, la struttura base dei rivelatori si ripete: si aggiornano le tecnologie e cambiano le caratteristiche fini dei componenti, ma di fatto si mantengono le stesse idee di fondo. La ragione è semplice: elettroni, fotoni, muoni, adroni e neutrini hanno modi caratteristici di interagire con la materia che li circonda, e lasciano dunque - oggi come cinquanta anni fa - "firme" tipiche, intorno alle quali sono progettati i rivelatori. Al prossimo giro vi racconto quali sono, e come le sfruttiamo.
Fabiano dice
Ottimo inizio Marco, sono sicuro che questa nuova miniserie sarà interessante come le altre!
Una domandina su Atlas: perché in questi giorni di "stable beam" il contatore "Fill luminosity" di Atlas su OP Vistars è sempre rimasto a zero? Che snobbate i fasci perché sono troppo magri? 🙂
E poi: perché quelli che curano la "dashboard" sempre su OP Vistars, non riescono a salvarla in PNG come tutti gli altri, che in JPEG viene mezzo mega?
Beh, buon lavoro e tienici aggiornati! (anche sulle tue vicende professionali)
Tommybond dice
Caro Marco, nel descrivere i tipi di decadimento leptone-antileptone hai scritto elettone elettrone. Aggiungi un anti che ti è sfuggito ad uno dei due elettroni 🙂
Marco dice
@Tommybond. Ups. Positrone... corretto.
Ettore dice
In questi giorni, il toroide ed il solenoide di Atlas sono spenti... ma comunque si raccolgono dati, c'è qualche motivo preciso?
Marco dice
@Fabiano e Ettore: abbiamo avuto qualche problemino di raffreddamento dei coil del toroide, e abbiamo dovuto abbassare il campo magnetico. Succede. Ovviamente prendiamo qualche dato, ma non tutti saranno utili per fare della fisica (i calorimetri non hanno bisogno dei campi magnetici, ma tutto il resto - tracker e spettrometro- no). Dovremmo rimettere su entrambi i campo (toroide e solenoide) entro martedì, se tutto va dritto (raffreddare e rialzare i campi magnetici è una procedura lunghetta).
Ettore dice
Se posso... c'è un motivo specifico per cui (attualmente) la Beta* di Atlas è 1,6m mentre in CMS è 1,5m?
E cosa può comportare in termini di luminosità?
robb dice
Scusate la franchezza, ma il cern fino ad oggi cosa avrebbe prodotto di utile/interesante? C'è qualche fisico che comincia ad avere seri dubbi sul modello standard? Grazie.
Marco dice
Caro Robb,
Che cosa vuol dire utile o interessante per te? Una nuova comprensione di come funziona il mondo è utile? È almeno interessante? Perché allora metterei nel sacco la scoperta dei bosoni W e Z, e tutte le misure di precisione di LEP, per esempio? Se invece ti piace viaggiare più terra terra, che ne dici dell'invenzione del WWW? O dei rivelatori a pixel per mammografia? E potrei continuare. Ma magari questo cose per te non sono né utili né interessanti, e allora la risposta sarà tristemente "niente" 🙂
Quanto ai dubbi sul Modello Standard, ti sfido a trovarmi un fisico delle particelle che non pensi che sia limitato e approssimato. Il che non vuol dire che non funzioni dannatamente bene!