Riassunto della puntata precedente. Gli scienziati sono uomini, e in quanto tali sono abitati da istinti animali. Onde evitare che questi istinti li portino fuori strada, hanno inventato dei metodi per tenere sotto controllo le sorgenti di errore, anche (e soprattutto) quelle umane. Due di queste tecniche sono essenziali negli studi medici: il protocollo di "doppio cieco" e la presenza di un campione di controllo. Nella mirabolante puntata di oggi: l'omeopatia ha basi scientifiche? E' mai stata sperimentata secondo i criteri del metodo scientifico? Personaggi in ordine di apparizione: la teoria della medicina omeopatica in dieci righe; l'acqua e le sue presunte straordinarie capacità; un po' di scetticismo di fondo per dare sapore alla zuppa; Jacques Beneviste, uno scienziato francese di belle speranze.
Per raccontare questa storia bisognerebbe partire da lontano. Siccome lo spazio è tiranno daremo per scontato che tutti conoscano a grandi linee i principi su cui si basa l'omeopatia, lasciando ai volenterosi la lettura di Farmaci senza molecole di Luigi Garlaschelli per un approfondimento. Ai distratti ricordiamo solo le basi: l'omeopatia sostiene che per curare una patologia che provoca un certo sintomo (la febbre, per esempio) si debba somministrare, in dosi cosiddette omeopatiche, ovvero piccolissime, una sostanza che in dosi farmacologiche provocherebbe lo stesso sintomo (chessò, per la febbre... il tabacco? Sto inventando, ovviamente. Ma a pensarci bene perché no? I nostri nonni se lo mangiavano per non andare a scuola). Senza voler discutere questi bizzarri fondamenti teorici (uno spunto a caso per le vostre chiacchierate con gli omeofedeli: ma non sostenete che l'omeopatia curi le cause delle malattia, in opposizione alla medicina tradizionale che si occuperebbe solo dei sintomi? A rileggere i vostri padri fondatori sembrerebbe il contrario), veniamo al punto dolente: dosi piccolissime significa in realtà nessuna sostanza. In pratica un farmaco omeopatico è composto esclusivamente del solvente usato nella preparazione (acqua) e dell'eccipiente usato per la forma finale (zucchero nel caso dei granuli, alcool delle tinture). Non mi fermo a giustificare questo fatto, gli omeopati stessi lo ammettono volentieri. L'effetto dei farmaci omeopatici sarebbe infatti legato non tanto alla presenza di una qualche sostanza attiva, ma a un misterioso comportamento del solvente che, nel corso del processo di diluizione, assumerebbe proprietà particolari "ricordandosi" del soluto ormai sparito. La memoria dell'acqua, appunto.
Lasciate perdere la stranezza dell’affermazione. E' vero, non c'è nessuna giustificazione teorica dietro alla teoria della memoria dell'acqua. Grazie a quale meccanismo chimico-fisico l'acqua ricorderebbe le sostanze con cui è entrata in contatto? Non si sa. Ammettiamo pure che sia un fenomeno non ancora inquadrato teoricamente. Una di quelle cose che abbiamo osservato, ma non sappiamo (ancora) spiegare. Lasciate anche perdere l'enorme contraddizione teorica legata al fatto che l'acqua, nel corso dei suoi cicli, si porta dietro un sacco di sostanze disciolte che vanno e vengono (sali, perlopiù, ma non solo. Anche pipì di squalo, per esempio): non dovrebbe ricordarsi anche di queste? Ammettiamo pure che il processo di memorizzazione avvenga solo quando agitate l'acqua in certe particolari condizioni, che è quello che sostengono gli omeopati (lo so, la cosa suona come un rito sciamanico, ma lasciamo correre. Il problema non è tanto lo sciamanesimo, quanto il fatto che anche quando mi faccio un caffè sheckerato agito l'acqua come in una "dinamizzazione" omeopatica, dunque l'acqua della mia bevanda dovrebbe avere le proprietà terapeutiche, chessò, del cloro dell'acquedotto di Ginevra). Scegliamo dunque di ignorare la totale assenza di quadro teorico e le contraddizioni interne della teoria (non è poco, ma per adesso soprassediamo), e diciamo solo: l'omeopatia si basa su questo fenomeno chiamato "memoria dell'acqua" che esiste alla faccia di tutti voi scettici, e adesso lo misuriamo così la piantate una volta per tutte di rompere gli zebedei.
E' più o meno questo che pensava lo scienziato francese Jacques Benveniste, che nel 1988 riuscì a pubblicare, sulla prestigiosa rivista scientifica Nature , un articolo in cui sosteneva proprio di aver registrato le prove della memoria dell'acqua. Dilemma risolto? Fondamenti dell'omeopatia finalmente dimostrati? I dettagli alla prossima puntata. (continua)
Giorgio dice
E' bello rileggere dopo così tanto tempo un articolo fatto così male. Purtroppo l'autore ignora molte cose, tra cui il fatto che esista una farmacopea omeopatica riconosciuta a livello europeo e che fa parte della farmacopea eurropea che è considerata una delle fonti secondarie del diritto, il che fa pensare che se in europa qualcuno abbia deciso di inserire delle monografie a livello di farmacopea europea o è un imbecille, oppure c'è qualcosa di più. Inoltre l'autore purtroppo parla male di una cosa che non conosce a sufficienza, in quanto cita solo fonti contrarie all'omeopatia, mentre dovrebbe parlarne male solo dopo aver letto le fonti a favore di questo metodo. Terza cosa fortemente ignorata è il fatto che il caso Bienveniste è stato l'unico caso in cui qualcuno si è preso la briga di ricontrollare i suoi esperimenti, mentre è ben noto agli ambienti della ricerca scientifica che diversi scienziati in passato hanno taroccato i risultati delle proprie ricerche. Ultima ma non ultima cosa ignorata è il fatto che l'autore dimentica un concetto galileiano molto semplice: quando non riusciamo a misurare un fenomeno le possibilità sono due: o il fenomeno non esiste, oppure non abbiamo un metodo di misura adeguato.
Io sono un chimico che si è accostato al problema dell'omeopatia in maniera razionale e senza pregiudizi, non sono a favore, ma non sono neanche contro, il problema è che bisognerebbe studiarla senza pregiudizi. Per quanto riguarda gli studi clinici, non si possono applicare i canoni classici della sperimentazione clinica, peraltro inventata da Hahnemann, padre dell'omeopatia, per alcune definizioni intrinseche al metodo. Si dovrebbe quindi prendere un campione di soggetti e lasciarli trattare secondo certi canoni e vedere i risultati finali. Concludo dicendo inotlre che l'omeopatia messa a punto da Hahnemann è molto diversa da quella che oggi si vede applicare chiamata complessismo o pluralismo al contrario della sua che era chiamata unicismo. Ma di questo ovviamente l'autore dell'articolo non può saperlo, così intento a leggere tutto ciò che è contro.
Grazie.
Marco dice
Gentile Giorgio, nel suo commento lei da per scontato che cosa io abbia letto e cosa non abbia letto, presunzione piuttosto gratuita visto che non vedo come possa dedurre il mio grado di informazione da questo articoletto sul blog. In realtà la bufala omeopatica è un argomento che mi sta talmente a cuore che potrei stupirla per la quantità di roba (e robaccia) che ho digerito per farmene un'idea piuttosto chiara. Che poi valga la pena parlarne sue queste pagine è un'altra storia (da quando ho scritto questi articoli sono passati più di quattro anni, e ho perso interesse nel tentare di dialogare con i sostenitori dell'omeopatia, visto che sembrano sistematicamente allergici a ogni ragionamento scientifico).
Quanto alle specifiche obiezioni che solleva:
1) Che il compendio di farmacologia europea contenga anche voci relative a preparati omeopatici non significa che questi abbiano una vera proprietà medicinale. Anche braccialetti power-balance si vendono in farmacia, e questo non li rende meno bufale.
2) La questione non quella di citare voci a favore o voci contro. Il punto è citare studi epidemiologici o meta-analisi che dimostrino o meno un effetto farmacologico distinguibile dal placebo per un qualunque preparato omeopatico, con un trattamento statistico e procedurale dei dati che sia affidabile accettabile. Sarò lieti di convertirmi all'omeopatia quando me ne mostrerà uno. La scienza non è a favore o contro, semplicemente pretende di rigore e prove. Il resto è fuffa.
3) Lei dice "quando non riusciamo a misurare un fenomeno le possibilità sono due: o il fenomeno non esiste, oppure non abbiamo un metodo di misura adeguato". È vero, ma nel caso dell'omeopatia stiamo parlando di un fenomeno che dovremmo essere in grado di misurare, ovvero l'efficacia terapeutica dei preparati. Nessuno pretende di indagare il perché i preparati omeopatici funzionerebbero, ma semplicemente se funzionino. Per questo l'adeguatezza dello strumento di misura non è in questione: i trial clinici funzionano piuttosto bene per tutte le altre medicine!
4) Affermare che Hahnemann abbia inventato la sperimentazione clinica mi sembra quantomeno eccessivo. E, per restare sul contenuto di questi articoli, non mi sembra che abbia mai implementato nessun tipo di protocollo di doppio cieco per le sue "misure".
Nina dice
Noto con estremo piacere che non siamo solo noi medici (quelli razionali) ad accanirci contro questo genere di "bufale". Sono d'accordissimo con te Marco, dalla a alla z, ovviamente. Purtroppo i sostenitori dell'omeopatia sono davvero allergici a qualsiasi ragionamento che presupponga il metodo scientifico: è davvero impossibile convincerli del fatto che non esiste alcuna evidenza che tali "terapie" funzionino e sono a tratti addirittura aggressivi se da medico, gli si dice qualcosa che urta la loro "fede omeopatica"; perchè appunto di fede si tratta. In genere quando un paziente mi dice che si cura con l'omeopatia, sono costretta a dire che non la conosco, non sono tenuta a conoscerla e pertanto non la posso consigliare.
Tuttavia, quello che forse molte persone ignorano, è la pericolosità che si nasconde dietro all'uso di tali granulini e strane varie "sostanze" (che peraltro costano non poco e non a caso): esiste gente che ci cura malattie su cui c'è pochissimo da scherzare; molti di questi farmaci inoltre, non hanno neanche uno straccio di bugiardino, e la lista degli eccipienti è praticamente inesistente (se uno è allergico a qualcosa, beh buona fortuna).
Il guaio è che a lasciarsi "convincere" senza un minimo di substrato scientifico, non sono solo le persone con grado di cultura e scolarità minima, ma anche persone giovani e che hanno studiato, tra cui ahimè anche medici...(non sottovaluterei l'aspetto economico anche se per niente etico, come spiegazione di tale bizzarro fenomeno).
Quindi grazie ancora Marco, per aver messo i puntini sulle i.